Comunque, l’articolo su Blair si conclude così (è la parte migliore, da notare le citazioni colte, la classe insomma):
Lo smacco più grave viene però dall'adesione alla guerra in Iraq. E’ l'alleanza con Bush che costa a Blair la fine della simpatia mondiale, i fischi in Libano, il gelo in casa, dove le vignette lo ritraggono da maggiordomo alla Casa Bianca. E’, come nella tragedia greca, il fato che disfa l'eroe: perché Blair aderisce alla guerra condividendo molte delle riserve degli europei contro l'unilateralismo Usa, ma persuaso che se Washington fosse andata da sola a Bagdad la ripresa del dialogo sarebbe oggi più aspra. E’ Blair a indicare a Bush un percorso politico, attacco a Saddam e processo di pace in Medio Oriente per legittimare davanti alle coscienze islamiche il peso degli ideali di giustizia e democrazia.
Non basterà, Bush non è in grado di tessere il filo diplomatico intrecciandolo a quello militare, Blair paga la solitudine. Ora, mentre il serial tv della Abc critica Clinton per non avere subito attaccato Osama, Blair paga il fio per avere, a malincuore come Ulisse stanato da Palamede, attaccato Saddam. La lezione antica è che le democrazie riluttano sempre, fino alla fine, davanti alla guerra: perché gli elettori non la vogliono, e castigano i leader se gli esiti non sono quelli desiderati. Questo l'ultimo atto del
prodigio Blair: per ora.
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