Giorgio Bocca si rivolge a Scalfari direttamente:
Caro Eugenio, (…) alla meta dei settanta ci siamo detti: che resta da capire? A quella degli ottanta eccoci qui a dirci: tutto resta da capire. Quella primavera del '76 quando hai fondato Repubblica, sembra lontana anni luce, siamo di nuovo al bivio fra pace e guerra, la democrazia è a rischio …
Già, tutto resta da capire, tranne che la democrazia è a rischio, i barbari sono alle porte e la Patria, se non è morta l’8 settembre del ’43, sta morendo adesso in un mare di fango. Ecco un modo efficace per ricostruire i tratti fondamentali della personalità del Direttore. La conclusione dell’articolo è lirica:
Qualcuno dice che sei stato un padre padrone. Il direttore di un giornale lo è per funzione, per necessità, è il comandante di una nave che deve scegliere la sua rotta ogni giorno anche all'ultima ora. Ma ci sono padri padroni onesti, pazienti comprensivi e padri padroni carogne. Tu sei un padre padrone che si è stufato di farlo fra il generale rimpianto.
Padre e padrone sì, ci mancherebbe, ma che padre e che padrone! Mica una carogna! E che dire di questo accorato, commosso, disarmante (nella sua spietata veridicità) benvenuto in una categoria benemerita …
Benvenuto fra i nonni rispettabili di questo non sempre rispettabile mestiere.
Beato chi riesce mantenersi rispettabile in mezzo a gente che rispettabile non sempre riesce ad esserlo—e magari non ci prova neanche!
Giampaolo Pansa, dotato com’è di sano sense of humour—al contrario del serioso e corrucciato Bocca (mai “palloso”, però, per carità!)—riesce persino nell’ardua impresa di rendere umanamente simpatico il severo “padre padrone” di quelli che Christian Rocca chiama irriverentemente i republicones:
Prima di tutto, mi sembrò ieratico. Con la testa spinta all'insù, come il Santissimo in processione. La barba di un candore abbagliante. Gli occhiali leggeri che non imprigionavano lo sguardo. La statura alta, la figura snella e il tono fervido del cinquantenne che, nel pieno delle forze, si avvia all'azzardo della sua vita. (…)
Certe sue immagini sapevano di grida incitatorie e guerresche. Ci diceva, peccando di vetero maschilismo: "Quando saremo diventati il primo giornale italiano, avrete diritto allo stupro e al saccheggio!".
Epico e ironico insieme, incurante della possibilità di essere male interpretato dai soliti maliziosi detrattori, Pansa esplora financo le pieghe più nascoste della personalità dominante del pater:
Eugenio era dominante anche nei confronti dei capi politici del tempo. Non li disprezzava, ma si riteneva più intelligente, più acuto e più forte di loro. Non apparteneva alla categoria dei direttori che accettano consigli dalla nomenclatura partitica. Era lui a darli, non a riceverli. Anche in questo si rivelava imbattibile. A uno sgarbo, replicava con un altro sgarbo. Se qualche big gli rifiutava un'intervista importante, Eugenio lo ammoniva con un avvertimento che mi è rimasto nella memoria: "Stia attento, caro ministro, caro segretario, d'ora in poi lei passeggia davanti alla bocca del cannone!".
Ecco, si potrebbe dire, un ritratto a tutto tondo, quasi shkespeariano nei chiaroscuri e nel feroce realismo della rappresentazione. E’ così che si dovrebbero sempre onorare i grandi uomini …
Da segnalare anche il contributo di Nello Ajello, che abbozza sapientemente un profilo biografico, dagli (inevitabili, ahinoi) trascorsi fascisti e dalle giovanili frequentazioni con Italo Calvino all’avventura del Mondo, con Mario Pannunzio e la sua mitica squadra, fino alla fondazione dell’Espresso (in tandem con Arrigo Benedetti) e di Repubblica.
Ma veniamo ora al Riformista. Dopo l’omaggio a Scalfari giornalista e fondatore-direttore di giornali («Prima di Scalfari i quotidiani erano fatti in un modo che risulterebbe letteralmente incomprensibile ai lettori di oggi»), il giornale di Antonio Polito elenca i meriti “politici” del Nostro, che si compendiano in una parola: «terzista»
Scalfari è importante anche per la cultura politica italiana. E' stato il primo «terzista», benché non gli farà piacere sentirselo dire. Se terzista è chi non sta «né di qua né di là», questo no. Scalfari è sempre stato o di qua o di là. Solo che era lui a definire i confini del qua e del là. Non è mai «appartenuto», e pur prendendo sempre parte non ha mai disdegnato di cercare alleanze con chi stava dall'altra parte. Se il terzista considera la politica un mezzo per raggiungere un fine superiore, e dunque la usa laicamente e trasversalmente piuttosto che adorarla come un feticcio, Scalfari lo è, perché ha sempre messo la tattica al servizio della strategia, che per lui era costruire una sinistra liberale ed occidentale, e dare così all'Italia una speranza di alternanza.
Nell'Italia divisa tra Dc e Pci, Scalfari è stato un perfetto terzista, troppo laico per essere un democristiano, troppo libertario per essere un comunista. In quell'Italia, di fatto più bipolare di questa, lui vedeva quello che univa La Malfa a Berlinguer, e a che cosa serviva un De Mita. Ha sempre avuto un nemico - Craxi prima, Berlusconi poi - ma ha sempre suonato su una tastiera ampia di potenziali amici.
Che dire ancora? C’è di che essere ammirati per una disamina del «terzismo» che ci rivela, tra l’altro, una verità che in molti—c’è di che esserne sicuri—hanno fin troppo a lungo ignorato : che per esser terzisti occorre avere «un nemico», possibilmente da stritolare, da odiare—ebbene sì—come forse neppure un seguace di Bin laden (absit injuria verbis!) oserebbe. Uno non finisce mai di imparare, è proprio vero. E una irrilevante ricaduta di questa lezione è che di certo il titolare del qui presente blog ha finalmente capito che non sarà mai un terzista. Terzista sarà lui, il Fundador—che tuttavia (ma occorre ricordarlo?) è sicuramente un uomo d'onore—, il sottoscritto si chiama fuori.
[Il presente post è stato pubblicato per la prima volta presso windrosehotel.splinder.com il 7 aprile 2004]
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