Io chiamo europei, diceva in sostanza Valéry, i popoli che nel corso della loro storia hanno subito re grandi influenze: quelle che possono essere simbolizzate dai nomi di Roma, Gerusalemme e Atene.
Da Roma vengono l’impero con il potere statale organizzato, il diritto e le istituzioni, lo status di cittadino. Da Gerusalemme, o per meglio dire dal cristianesimo, gli europei hanno ereditato la morale soggettiva, l’esame di coscienza, la giustizia universale. Atene, infine, aveva lasciato in eredità il gusto della conoscenza razionale, l’ideale di armonia, l’idea dell’uomo come misura di tutte le cose.
Chiunque possa fregiarsi di questa tripla eredità, concludeva Valéry, può a giusto titolo essere definito europeo.
Todorov spiega così il contributo del cristianesimo:
Il cristianesimo ci ha lasciato in eredità non soltanto le idee di individuo e di universalità, o il gusto della conoscenza del mondo, ma anche, per quanto possa apparire paradossale, l'idea di laicità. È con le frasi del Cristo, «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 21), oppure «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18, 36), che la necessità di separare terra e cielo, gli affari dello Stato e quelli della Chiesa, compare per la prima volta. Il teologico non conduce al politico, la trascendenza è vissuta in modo individuale.
E quello della Grecia:
La tradizione greca, a sua volta, ci trasmette anche un'idea politica importante, quella di democrazia. La comunità di tutti i cittadini è ormai responsabile del destino politico dello Stato nel suo insieme. Il potere assoluto del tiranno, del re o degli aristocratici, vale a dire di una minoranza, è messo in discussione. La democrazia greca, ovviamente, è imperfetta rispetto alla forma che hanno assunto oggi le nostre esigenze democratiche, perché più della metà della popolazione, all'epoca, ne era esclusa: le donne, gli stranieri, gli schiavi. Ma resta comunque il fatto che quella è stata la prima apparizione del concetto di sovranità popolare.
Ma secondo Todorov ci sono “contributi dell'epoca moderna, che ci sembrano altrettanto essenziali per l'identità culturale del nostro continente,” vale a dire:
Il secolo dei Lumi, che sintetizza e sistematizza il pensiero europeo dei secoli precedenti, occuperebbe in questo caso un posto di primo piano. L'idea di autonomia, messa in risalto da Kant, consiste nell'affermare che ogni essere umano è in grado di conoscere il mondo autonomamente, e di decidere del proprio destino. Proprio come il popolo è sovrano in una democrazia, l'individuo lo può diventare nel proprio ambito personale. Il XVIII secolo vede inoltre l'avvento dell'umanesimo, vale a dire della scelta che consiste nel fare dell'uomo stesso la finalità dell'azione umana. Lo scopo dell'esistenza umana sulla terra non è più cercare la salvezza della propria anima nell'aldilà, ma raggiungere la felicità sulla Terra. Il riconoscimento di una pluralità legittima, che sia quella delle religioni, quella delle culture o quella dei poteri in seno a uno Stato, va ad aggiungersi anch'esso all'eredità che l'Illuminismo ha lasciato all'identità europea: essa incorpora il concetto di pluralismo.
Fin qui, mi pare, quello di Todorov è un utile “ripasso” di ciò che già sappiamo (o dovremmo sapere), in forma di riassunto per sommi capi e con chiara finalità “didascalica.” Ma la sua riflessione tenta di muovere qualche passo in avanti. E a un certo punto lo studioso si domanda se noi, per caso, non stiamo “reiterando il nostro ideale contemporaneo, contentandoci di cercargli delle prefigurazioni storiche.”
In sostanza, scrive Todorov, se da una parte, e senza ombra di dubbio, queste “prefigurazioni” esistono, dall’altra non si può negare che esse non sono le uniche. Ad esempio, se l'idea di uguaglianza fra tutti gli esseri umani è sicuramente un portato della storia europea, anche quella di schiavitù lo è, come lo sono la tolleranza è il suo contrario, cioè il fanatismo e le guerre di religione. E allora? Come uscire dall'impasse in cui ci troviamo? Tanto per cominciare, suggerisce Todorov, occorre
ricordare che l'identità collettiva di cui l'individuo è parte non è mai unica. Gli esseri umani non hanno alcuna difficoltà ad assumere più identità alla volta, e dunque a provare molteplici solidarietà. Questa pluralità è la regola, non l'eccezione. Oltre che, per fare un esempio, "francese", io mi riconosco anche come originario di una certa regione, come uomo o donna, come un adolescente o un pensionato, come un individuo appartenente a un determinato ambiente, che esercita una determinata professione, che professa una determinata religione.
Dunque, c’è ancora spazio per “un'identità spirituale europea?” Sì, secondo lo studioso francese:
L'unità della cultura europea risiede nella sua capacità di gestire le diverse identità regionali, nazionali, religiose, culturali che la costituiscono, e di trarne profitto.
La parola chiave è, naturalmente, «pluralismo». Tra i pensatori del XVIII secolo, è Montesquieu colui che, parlando dello Stato, ha indicato quale fosse il nocciolo del problema. Interpretando “la contrapposizione fondamentale tra Stati moderati e Stati tirannici come quella tra la ripartizione dei poteri tra più soggetti o la loro concentrazione nelle mani di uno solo.”
Mi sembra una buona base per una riflessione che affronti il tema dell’identità europea con sufficiente rispetto per la complessità della materia. In particolare, colpisce il fatto che tra le tre radici segnalate da Valéry e il supplemento di indagine proposto (abbozzato) da Todorov vi sia un legame profondo e indissolubile. Resta solo il dubbio che una lettura estensiva del concetto di «pluralismo» possa sfociare in una sorta di “agnosticismo” in cui si finisca per rassegnarsi alla relativizzazione dello stesso pluralismo, visto che abbiamo a che fare, tra l’altro, con qualche fondamentalismo che nel frattempo ha messo radici in Europa. Ma questa non sembra certamente l’idea che Todorov si è fatto della questione.
[Questo post è stato pubblicato per la prima volta su windrosehotel.splinder.com il 2 luglio 2006]
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