September 14, 2006

Zero, a dir poco

C'era qualcosa, a dir poco, di strano. E di noioso, demagogico, bugiardo e ipocrita. Qualcosa era anche discutibile, insopportabile e sciocco. Qualcos'altro faceva anche un po' schifo. Per non parlare del clima da compagnucci di merende tra alcuni dei presenti. Poi dice che c'era anche una bella idea e altre storie non male (o addirittura belle, non ricordo bene), ma io non le ho viste, perché non ho guardato tutto.

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E Riotta su Blair fu all'altezza di Riotta

Sarà pure il risultato di un “inciucio” o del “mezzo tradimento” di qualche esponente del centrodestra, come scrive Il Foglio, e Berlusconi potrà magari essersi infuriato, oppure no, ma la nomina di Gianni Riotta a direttore del Tg1 mi sembra una scelta giornalisticamente saggia e politicamente geniale. Perché evidentemente si tratta, da una parte, di un ottimo giornalista, e dall’altra di un professionista dotato di notevole senso politico—parlo di “fiuto” essenzialmente, qualità nella quale il Nostro penso abbia pochi rivali. Per dire, l’articolo uscito sul Corriere di ieri è magistrale per equlibrismo e furbizia (politica, appunto). Trattandosi di un subject come Tony Blair, del resto, non poteva che essere così, Riotta non poteva che scrivere quello che ha scritto: la verità, ma così ben presentata (ai lettori e agli assetti politico-editoriali del giornale) che uno quasi quasi rischia di capire una cosa diversa da quella che si vuol dire. Se non è un perfetto direttore del Tg1 questo, vorrei sapere a chi si potrebbe mai offrire l’ambito riconoscimento senza rischiare di fare una figuraccia.

Comunque, l’articolo su Blair si conclude così (è la parte migliore, da notare le citazioni colte, la classe insomma):

Lo smacco più grave viene però dall'adesione alla guerra in Iraq. E’ l'alleanza con Bush che costa a Blair la fine della simpatia mondiale, i fischi in Libano, il gelo in casa, dove le vignette lo ritraggono da maggiordomo alla Casa Bianca. E’, come nella tragedia greca, il fato che disfa l'eroe: perché Blair aderisce alla guerra condividendo molte delle riserve degli europei contro l'unilateralismo Usa, ma persuaso che se Washington fosse andata da sola a Bagdad la ripresa del dialogo sarebbe oggi più aspra. E’ Blair a indicare a Bush un percorso politico, attacco a Saddam e processo di pace in Medio Oriente per legittimare davanti alle coscienze islamiche il peso degli ideali di giustizia e democrazia.

Non basterà, Bush non è in grado di tessere il filo diplomatico intrecciandolo a quello militare, Blair paga la solitudine. Ora, mentre il serial tv della Abc critica Clinton per non avere subito attaccato Osama, Blair paga il fio per avere, a malincuore come Ulisse stanato da Palamede, attaccato Saddam. La lezione antica è che le democrazie riluttano sempre, fino alla fine, davanti alla guerra: perché gli elettori non la vogliono, e castigano i leader se gli esiti non sono quelli desiderati. Questo l'ultimo atto del
prodigio Blair: per ora.

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Pope Benedict's lectio magistralis

Pope Benedict XVI powerful lecture—or, as Francesco Botturi wrote in the Italian Catholic newspaper Avvenire, this “authentic lectio magistralis”—delivered on September 12 at the University of Regensburg, where Joseph Ratzinger himself held the chair in dogmatic theology and in the history of dogma from 1969 to 1971, must have left its mark on many of the scientists and scholars who attended the event.

Not only did the Pope say—in a thinly veiled attack on extremist Islam's justification for terrorism—the concept of Holy War goes against nature of God, he also blamed West and its secular rationalism for excluding God and alienating other cultures. This, notwithstanding the fact that Christianity, thanks to the encounter between the Biblical message and Greek thought, welcomes intellectual inquiry and always reveres the truth.

This leads directly to the issue of “faith and reason,” which is apparently the most important of all in the papal address.

The encounter between the Biblical message and Greek thought did not happen by chance. The vision of Saint Paul, who saw the roads to Asia barred and in a dream saw a Macedonian man plead with him: "Come over to Macedonia and help us!" (cf. Acts 16:6-10) – this vision can be interpreted as a "distillation" of the intrinsic necessity of a rapprochement between Biblical faith and Greek inquiry.

In point of fact, this rapprochement had been going on for some time. The mysterious name of God, revealed from the burning bush, a name which separates this God from all other divinities with their many names and declares simply that he is, is already presents a challenge to the notion of myth, to which Socrates’ attempt to vanquish and transcend myth stands in close analogy. Within the Old Testament, the process which started at the burning bush came to new maturity at the time of the Exile, when the God of Israel, an Israel now deprived of its land and worship, was proclaimed as the God of heaven and earth and described in a simple formula which echoes the words uttered at the burning bush: "I am". This new understanding of God is accompanied by a kind of enlightenment, which finds stark expression in the mockery of gods who are merely the work of human hands (cf. Ps 115). Thus, despite the bitter conflict with those Hellenistic rulers who sought to accommodate it forcibly to the customs and idolatrous cult of the Greeks, biblical faith, in the Hellenistic period, encountered the best of Greek thought at a deep level, resulting in a mutual enrichment evident especially in the later wisdom literature. Today we know that the Greek translation of the Old Testament produced at Alexandria - the Septuagint - is more than a simple (and in that sense perhaps less than satisfactory) translation of the Hebrew text: it is an independent textual witness and a distinct and important step in the history of revelation, one which brought about this encounter in a way that was decisive for the birth and spread of Christianity. A profound encounter of faith and reason is taking place here, an encounter between genuine enlightenment and religion. From the very heart of Christian faith and, at the same time, the heart of Greek thought now joined to faith, Manuel II was able to say: Not to act "with 'logos'" is contrary to God’s nature.


Read here the complete text of the lecture, but bear in mind that this text must be considered provisional, since the Holy Father intends to supply a subsequent version of it, complete with footnotes. Read also an anthology by Italian Vaticanist Sandro Magister of the homilies and speeches delivered by Benedict XVI during his six-day trip to his Bavarian homeland.

La lectio magistralis del Papa filosofo

Ci sarà tempo, nei prossimi giorni, settimane e mesi, per riflettere attentamente sull'autentica lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI nell’aula magna dell’Università di Regensburg (o Ratisbona che dir si voglia). Di tutto ci può essere bisogno di fronte ad un tale evento meno che di commenti che non siano attentamente meditati e soppesati. E questo, penso, vale per tutti, dagli estimatori più entusiasti ai critici più severi, dai commentatori più ferrati a quelli, per così dire, più improvvisati (tra questi ultimi, naturalmente, mi ci metto anch’io, e ci mancherebbe altro).

Di conseguenza, per ora, mi limito a qualche suggerimento di lettura pescato qua e là. Su Avvenire, innanzitutto, si leggono un’intervista a Marta Sordi, nota studiosa del mondo classico, docente di Storia Romana alla Cattolica e autrice di numerosi libri, e un articolo di Francesco Botturi, professore di Antropologia Filosofica, anche lui presso l'Università Cattolica di Milano. Interessante anche l’editoriale del Foglio di mercoledì.

“E’ il manifesto dell’identità occidentale come identità ebraica, greca e cristiana,” scrive appunto il giornale di Giuliano Ferrara.

A Marta Sordi, invece,viene chiesto di chiarire un punto fondamentale nel ragionamento del Papa, cioè quello del rapporto tra cristianesimo e filosofia greca:

«La concezione del Dio cristiano, che corrisponde anche alla concezione greca e romana della divinità, è quella di un Dio logos, cioè parola e ragione. Non si tratta mai di un Dio dalla volontà arbitraria, al limite anche contro la ragione. E non si tratta mai di una religione che può essere imposta con la violenza. Un principio che resta valido anche nonostante la smentita pratica rappresentata dalle persecuzioni contro i cristiani: tanto che Tertulliano può rinfacciare ai romani di violare le loro stesse convinzioni.»

Francesco Botturi, per parte sua, mette in evidenza la «positività» del discorso di Benedetto XVI:
[L]a proposta del Papa è tutta sul versante positivo. Non si tratta affatto di «ritornare indietro» rispetto ai momenti di crisi dell'età moderna; si tratta al contrario di riconoscere «le grandiose possibilità» che «lo sviluppo moderno dello spirito (…) ha aperto all'uomo», a condizione, però, di un «allargamento del nostro concetto di ragione e dell'uso di essa», di un concetto di ragione liberato dalle restrizioni odierne dello scientismo e del tecnicismo e delle loro conseguenti «patologie». La fede cristiana per essere esperienza integra, dialogo reale, proposta autentica, ha bisogno di correlarsi ad una ragione, capace di domande grandi, sull'origine e sul senso, dotata del «coraggio» di tutta la vastità del suo ascoltare e del suo interrogare; ha bisogno di sapersi correlata al Logos.