Quando La rabbia e l’orgoglio uscì sul Corriere, Oriana Fallaci, per me, e ovviamente per un sacco di altra gente, era già una vecchia conoscenza libresca. Non che avessi letto tutto, ma penso che Un uomo e Intervista con la storia possano bastare per farsi un’idea e per apprezzare il giusto. A me bastarono, per cause di forza maggiore (non si può leggere tutto ciò che ci piacerebbe leggere), pur essendomi rimasta dentro la nostalgia delle cose non lette. Ma l’approccio alla vita di Oriana era piuttosto lontano dal mio, tante cose mi dividevano da lei, e dunque quella grande donna (e immensa giornalista, nonché brillante scrittrice) non poteva entrare nel pantheon dei miei eroi intellettuali.
Oggi che molti la piangono (non tutti, non gli estremisti islamici e i “pacifisti” di ogni contrada dell’universo, ad esempio), ovviamente la piango anch’io. O meglio ancora, visto che oltretutto—almeno così mi pare—non si possono versare fiumi di lacrime per la dipartita di persone che non si sono conosciute personalmente, la rimpiango. Penso che soprattutto mancherà a molti, a me certamente, la “scompostezza” del suo grido d’allarme contro ciò che minaccia più seriamente la nostra civiltà un po’ infiacchita, la forza e la passione con cui ha preso in mano il vessillo delle nostre libertà e lo ha sventolato rabbiosamente sotto il naso del nemico (interno ed esterno).
Credo che sarà dura fare a meno di un’atea incallita che, ai primi lugubri squilli di tromba che annunciavano l’imminente Armagheddon—così almeno la vedeva lei—, ha saputo persino rivalutare, con genuina commozione, i cari vecchi rintocchi delle campane, il simbolo acustico di una tradizione cristiana a lei profondamente estranea, e ha cominciato lei stessa a suonarle, quelle campane, come nessuno da qualche secolo in qua, probabilmente, aveva mai osato fare, con la foga non certo di un sagrestano o di un frate buontempone, ma semmai con quella di un monello di strada, o di una partigiana infuriata. In guerra, del resto, tutto fa brodo: se le campane possono svegliare il villaggio dormiente, allora suoniamole, come sappiamo, anche senza grazia, col cuore gonfio di rabbia e di orgoglio. E di amore per il proprio Paese, nonché per un mondo che all’Italia deve qualcosa.
A quello scampanio forsennato molti si sono destati, altri si sono rinfrancati, altri ancora hanno perlomeno cominciato a domandarsi se per caso qualcosa di grave stesse succedendo. Mica è poco. Non fosse altro che per questo Oriana meriterebbe un posto nella Storia. Ma ovviamente c’è molto di più. Ci sono i libri e gli articoli scritti prima dell’11 settembre. Insomma, la rimpiangeremo, chi per una ragione chi per un’altra. E chi per tutte quelle ragioni messe insieme.