Draghi, in particolare, non è stato tenero, ieri pomeriggio, durante l'audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. La Finanziaria, a suo avviso, «in un’ottica di medio e lungo termine presenta alcuni aspetti problematici», per la semplice ragione che «la correzione, in termini netti, è affidata interamente ad aumenti delle entrate». Tradotto per noi non addetti ai lavori: tasse, tasse e ancora tasse.
Giudizio ancor più pesante se si pensa che—come giustamente ricorda Il Foglio (sempre nell’editoriale odierno)—proviene da un uomo
per formazione economica e prassi di governo prossimo alla componente più avanzata (e borghese, nel senso che intenderebbe Tommaso Padoa-Schioppa: colta e
internazionalizzata) di questa maggioranza.
Un altro editoriale, quello de Il Riformista, riconosce alle “osservazioni fredde e oggettive” del governatore molti meriti, in particolare quello di aver tirato fuori
un esempio che fa giustizia di molte contese sin qui risuonate sull’effettiva redistribuzione operata dalle modifiche alle aliquote ex Irpef attuate in finanziaria: la dimostrazione secondo la quale un operaio senza figli con soli 26 mila euro annui di reddito pagherà più imposte, per effetto del fiscal drag, mostra che la formula avanzata dal governo secondo la quale il 90% dei contribuenti ci guadagna è quanto meno azzardata.
La conclusione del Riformista è altamente condivisibile:
Poiché non è ancora troppo tardi, visto che il Parlamento ancora deve votare, la speranza è che almeno qualcuna delle osservazioni di Bankitalia possano essere accolte.
Ma l’editorialista del Foglio non sembra molto fiducioso, denunciando
la sensazione che a Palazzo Chigi la linea politica sia quella di una sopravvivenza un po’ spocchiosa.
Speriamo che si sbagli, come—si parva licet—spero di sbagliarmi pure io.