1) non è affatto parte integrante della religione e della cultura islamica;
2) non è neppure quel simbolo del pudore e della modestia delle donne musulmane che si vuole far credere, al contrario, è l'esibizione di un messaggio politico e di potere;
3) ha la funzione precisa di isolare le donne musulmane, di impedire che entrino in relazione con la società, di tenere lontano «l'infedele».
Ragion per cui, proibire l'uso del velo nelle scuole e nei luoghi di lavoro non è per niente una prepotenza che di fatto incoraggia lo scontro di civiltà.
In realtà, misure come queste vanno nella direzione opposta: tendono una mano alla parte più viva e avanzata delle comunità musulmane. In Francia dall'anno scorso c'è una legge che vieta l'uso del velo nelle scuole pubbliche. Dopo le proteste scatenate dai fondamentalisti nei primi tempi, i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza delle allieve e delle donne delle comunità si sono apertamente schierate a favore della legge. Ora ci sentiamo più libere, confessano: più libere di parlare, di vivere, di essere noi stesse.
[…]
[L]'imposizione del velo rivela una concezione del mondo che non vela soltanto la donna ma anche l'uomo, la società, la mente. Che mortifica la sua parte migliore, la sua storia di civiltà e di creatività.
Souad Sbai, a modesto avviso di chi scrive, è una di quelle persone che l’Italia può dirsi onorata di avere accolto. Di lei mi ero occupato già un’altra volta su questo blog. La signora Sbai, tra l'altro, è stata recentemente ospite a Otto e mezzo (il link porta alla pagina contenete una sintesi e la registrazione della trasmissine) ed ha intrattenuto un interessante carteggio con Emma Bonino. Mi riprometto di tenerla d’occhio anche in futuro.