Anche per un fatto di sensibilità personale, inoltre, pochi dovrebbero essere più titolati di lui ad esprimere valutazioni culturalmente ben ponderate sul cosiddetto pensiero «teocon» (espressione per altro assolutamente insoddisfacente e inopportuna, come lui stesso sottolinea).
Dunque l’editoriale di ieri sul Corriere della Sera, che appunto affrontava la questione, sarebbe teoricamente di quelli da non perdere, a prescindere dalla circostanza che si possa concordare o dissentire. Purtroppo, però, le cose non stanno esattamente così. Intendiamoci, Magris ha svolto una riflessione che, sotto vari punti di vista, è magistrale, colta, godibile. Ad esempio, la definizione di «laicità» è da ritagliare e incollare.
La laicità […] non si contrappone alla religione e alla Chiesa, ma è la capacità di distinguere ciò che è oggetto di fede da ciò che è oggetto di dimostrazione razionale, ciò che compete allo Stato e ciò che compete alla Chiesa. Essa si contrappone al clericalismo intollerante come al laicismo intollerante; veri laici sono stati sia credenti e praticanti, quali ad esempio Jemolo, sia non credenti e non praticanti. Che il cristianesimo e, in Paesi come l'Italia, il cattolicesimo, costituiscano un punto fondamentale di riferimento anche per i non credenti e i non praticanti è ovvio, perché la Scrittura è, insieme alla tragedia greca, il più grande sguardo gettato nell'abisso della vita ed è una linfa e radice essenziale dell'universalità umana e della nostra civiltà in particolare.
Veramente “suggestiva” questa laicissima perorazione delle radici cristiane. E allora, qual è il problema? Beh, si va male a dirlo, ma non se ne può fare a meno: Magris ha fatto un po’ di confusione tra i «teocon» e gli «atei devoti», rendendo i due termini quasi sinonimi o quanto meno interscambiabili, mentre ovviamente tali non sono e non possono essere. Ecco come questo “incidente di percorso” è potuto accadere …
I cosiddetti «teocon» — termine alquanto infelice, da gergo di gruppuscolo o da complesso rock — possono capire poco di queste cose, perché in genere non hanno alcuna esperienza del Cristianesimo e del Cattolicesimo, non l'hanno frequentato e magari credono che l'Immacolata Concezione indichi la maternità verginale di Maria anziché il suo essere immune dal peccato originale. Della Chiesa hanno un'immagine vagamente nobile e consolatoria, così come si sa che nell'induismo ci sono divinità raffigurate con molte teste e molte braccia. La stessa autodefinizione di «atei devoti» — in cui l'arrogante professione di ateismo vorrebbe darsi una patina di cinismo libertino settecentesco, come quello degli abati galanti dell'ancien régime — non è la migliore premessa per occuparsi di cose di fede.
In effetti, la prima proposizione non avrebbe senso senza quella confusione (che si manifesta in pieno nella terza proposizione). Riuscite a intravedere le facce perplesse di Michael Novak, Richard John Neuhaus, Gorge Weigel, Robert Sirico o del nostro Flavio Felice nello scoprire che loro—cioè dei teologi e filosofi della politica cattolici fino a midollo—possono aver dato ad uno stimato intellettuale italiano con profonde connessioni «mitteleuropee» l’impressione di essere gente che non ha alcuna esperienza del Cristianesimo e del Cattolicesimo, ecc., ecc.?
Lasciamo stare il fatto che la definizione in questione è stata affibbiata agli interessati, come a suo tempo a qualcun altro fu affibbiata quella di neocon, e che in entrambi i casi il termine sia stato accettato, almeno inizialmente, obtorto collo dagli interessati medesimi. A parte questo, infatti, l’espressione si riferisce a dei credenti a tutto tondo. Se poi ci sono degli intellettuali che, pur non essendo credenti, riconoscono al cristianesimo un ruolo essenziale nella società e ritengono che esso sia in grado di rafforzare un’identità occidentale minacciata dalle ondate migratorie provenienti dai Paesi islamici e soprattutto dall’arroganza di certi imam, beh questo è un altro discorso: non puoi presentare il conto agli uni attribuendogli le eventuali colpe degli altri. Mi sembra lapalissiano.
Per fortuna, dicevo, in quell’editoriale—che per ironia della sorte si intitola "Dio, fede e confusione"—Magris ha scritto cose ben più interessanti. Ad esempio questa:
Quei reverendi (protestanti, in questo caso) che hanno visto nella strage dell'11 settembre la punizione di Dio per le colpe degli Stati Uniti e quelli che hanno invece salutato la vittoria elettorale di Bush come la volontà di Dio, sono ben più blasfemi degli avvinazzati che sacramentano all'osteria e che sono forse meno lontani, sia pur da peccatori, dalla tradizione.Nessuno può pretendere di tirare Dio dalla propria parte Gli «atei devoti» è meglio che non si occupino di cose di fede.
Qui, davvero, ci siamo. Attenzione a tirare Dio da una parte o dall’altra. Uno può al massimo sospettare certe “corrispondenze,” ma deve sempre trattenersi dal passare dalla congettura alla spiegazione, e deve sapere che, nel momento in cui sbandiera pubblicamente certezze su questo ordine di eventi, autorizza chiunque a considerarlo (non troppo arbitrariamente) un pazzo e un visionario, cioè un pericolo e una iattura per l’umanità.
L’Onnipotente ha certamente i suoi Disegni, ma all’uomo non è dato conoscerli, e forse è anche meglio che sia così: sai che delusione tremenda sarebbe, tanto per i figli della luce quanto per i figli delle tenebre, scoprire che, oggettivamente parlando, non tutto ciò che è cattivo è per il male e non tutto ciò che è buono è per il bene? Meglio non saperlo, o al massimo, appunto, coltivare segretamente qualche sospetto ... ;-)