La Sacra di San Michele, in Val di Susa, è il terzo luogo micaelico che ho visitato (lo scorso weekend), dopo il celebratissimo Mont-Saint-Michel e il non meno suggestivo Monte Sant’Angelo—di cui ho già riferito nel vecchio blog, poco più di un anno fa.
Tutti e tre questi luoghi hanno in comune un carattere che definirei ascensionale e selvaggio: c’è sempre da salire, da “arrampicarsi,” in posti piuttosto impervi e, almeno in origine, fuori dal mondo. Addirittura la Sacra è stata edificata letteralmente sul cucuzzolo di una montagna (il monte Pirchiriano), cioè proprio tutt’intorno a uno spuntone di roccia, appunto la vetta, che è visibile in fondo alla chiesa. Per raggiungere la base dell’antico complesso abbaziale benedettino bisogna salire, per arrivare alla chiesa pure. Michele evidentemente non ama le cose facili.
Oggi i benedettini (cluniacensi) non ci sono più. Ci sono i Padri Rosminiani (due), dal 1836, cioè da quando Re Carlo Alberto ottenne che Papa Gregorio XVI chiamasse Antonio Rosmini e la sua congregazione religiosa a prendersi cura del luogo dopo più di due secoli di abbandono.
Non mi cimento in resoconti di tipo storico-culturale, anche perché il tutto è già spiegato benissimo nel sito Web della Sacra. Mi soffermo solo su un particolare curioso: l’irrisione dei monaci da parte di un testone che campeggia su uno degli ingressi del monastero. Una smorfia più infantile che oscena (cliccare sulla foto qui accanto per ingrandirla), ottenuta dall’allargamento della bocca ad opera di due manacce.
Se noi fossimo ancora in grado di decifrare il linguaggio segreto del simbolismo medioevale, probabilmente apprenderemmo su noi stessi qualcosa che non siamo più capaci di “leggere” e interpretare. Ma, siccome siamo diventati spaventosamente ignoranti in questa affascinante materia, dobbiamo accontentarci di incerte e zoppicanti congetture: un monito travestito da sberleffo? Un tentativo di riconciliarci con noi stessi e con le nostre debolezze? Chi può dirlo? Certo, l’effetto è sconcertante.
Per il resto, l’esperienza di questa “ascensione” ha qualcosa di unico e irripetibile. A poche decine di chilometri da Torino c’è quest’isola di meditazione, un luogo miracolosamente ancora semi-selvaggio che interpella memorie ataviche e suggerisce relazioni misteriose tra l’uomo e il creato, tra l’anima individuale e l’infinito.
A dare una mano ai due Padri Rosminiani c’è un’associazione di «Volontari della Sacra». Uno di questi volontari, un attempato signore con un lieve accento straniero (è danese), ha svolto con competenza e in maniera molto simpatica la funzione di “guida turistica.” Ha anche inneggiato alla lingua italiana ("un canto") ed esortato i turisti italiani a non maltrattarla troppo. Ovviamente, parole sante. In tema con il luogo.
Tutti e tre questi luoghi hanno in comune un carattere che definirei ascensionale e selvaggio: c’è sempre da salire, da “arrampicarsi,” in posti piuttosto impervi e, almeno in origine, fuori dal mondo. Addirittura la Sacra è stata edificata letteralmente sul cucuzzolo di una montagna (il monte Pirchiriano), cioè proprio tutt’intorno a uno spuntone di roccia, appunto la vetta, che è visibile in fondo alla chiesa. Per raggiungere la base dell’antico complesso abbaziale benedettino bisogna salire, per arrivare alla chiesa pure. Michele evidentemente non ama le cose facili.
Oggi i benedettini (cluniacensi) non ci sono più. Ci sono i Padri Rosminiani (due), dal 1836, cioè da quando Re Carlo Alberto ottenne che Papa Gregorio XVI chiamasse Antonio Rosmini e la sua congregazione religiosa a prendersi cura del luogo dopo più di due secoli di abbandono.
Non mi cimento in resoconti di tipo storico-culturale, anche perché il tutto è già spiegato benissimo nel sito Web della Sacra. Mi soffermo solo su un particolare curioso: l’irrisione dei monaci da parte di un testone che campeggia su uno degli ingressi del monastero. Una smorfia più infantile che oscena (cliccare sulla foto qui accanto per ingrandirla), ottenuta dall’allargamento della bocca ad opera di due manacce.
Se noi fossimo ancora in grado di decifrare il linguaggio segreto del simbolismo medioevale, probabilmente apprenderemmo su noi stessi qualcosa che non siamo più capaci di “leggere” e interpretare. Ma, siccome siamo diventati spaventosamente ignoranti in questa affascinante materia, dobbiamo accontentarci di incerte e zoppicanti congetture: un monito travestito da sberleffo? Un tentativo di riconciliarci con noi stessi e con le nostre debolezze? Chi può dirlo? Certo, l’effetto è sconcertante.
Per il resto, l’esperienza di questa “ascensione” ha qualcosa di unico e irripetibile. A poche decine di chilometri da Torino c’è quest’isola di meditazione, un luogo miracolosamente ancora semi-selvaggio che interpella memorie ataviche e suggerisce relazioni misteriose tra l’uomo e il creato, tra l’anima individuale e l’infinito.
A dare una mano ai due Padri Rosminiani c’è un’associazione di «Volontari della Sacra». Uno di questi volontari, un attempato signore con un lieve accento straniero (è danese), ha svolto con competenza e in maniera molto simpatica la funzione di “guida turistica.” Ha anche inneggiato alla lingua italiana ("un canto") ed esortato i turisti italiani a non maltrattarla troppo. Ovviamente, parole sante. In tema con il luogo.