Berlusconi
lascia. Macché,
è una bufala. Neanche il tempo di stropicciarmi gli occhi, ieri, dopo aver letto
Libero, ed ecco che arriva la smentita. Confesso, però, che io, a
Libero, ho creduto subito. E neanche perché il capo della CdL potrebbe, sì, aver detto ciò che gli viene attribuito, ma si trattava di parole in libertà, pronunciate durante un pranzo tra amici, e dunque da non prendere alla lettera, ecc., ecc. No, io ho creduto e credo tuttora che quelle parole non solo il Cavaliere le abbia dette, ma le abbia anche pensate e meditate. E questo per la semplice ragione che il primo annuncio corrisponde più o meno esattamente a ciò che a me sembrerebbe la soluzione più logica, quella più «normale».
Già, la soluzione più
normale. Sfortunatamente, però, questo
non è un Paese normale: è il ritornello che immancabilmente mi perseguita tutte le volte che provo a tracciare ideali linee rette nei miei vani ragionamenti sulle politica italiana. Cosa c’è di normale in un Paese in cui Diliberto fa il capo d un partito di governo e in una coalizione che, senza i comunisti, rifondati o meno, non potrebbe andare da nessuna parte? Poi, d’accordo, ci sono le contraddizioni in seno al centrodestra, anche se a me, sinceramente, sembrano quasi insignificanti rispetto a quelle della controparte: che cosa sono, per dire, le differenze tra Roberto Maroni e Adolfo Urso rispetto a quelle tra Antonio Polito e Francesco Caruso?
Comunque, qualcuno dovrebbe pur cominciare a lavorare seriamente per far sì che, un po’ alla volta, l’Italia “si normalizzi.” Ecco, questo, a mio avviso, è il punto: se aspettiamo che cominci la sinistra stiamo freschi … In altre parole, e lo dico senza ironia e senza
arrière pensées, solo Berlusconi ci può salvare. Come? Penso che lo abbia spiegato abbastanza bene Andrea Romano con l’
editoriale pubblicato su
La Stampa di oggi. Romano—storico dell'Europa contemporanea, ex Direttore scientifico di
Italianieuropei e autore di
The Boy. Tony Blair e i destini della sinistra, il più documentato resoconto in lingua italiana della carriera politica del Primo ministro britannico—sarà anche di parte, ma lo è nella maniera giusta, cioè
à la Luca Ricolfi, e dunque gli si può dar credito. Ecco la parte centrale dell’articolo:
Per il centrosinistra si aprirebbe una stagione nuova, nella quale diminuirebbe la tentazione di ricorrere a giorni alterni allo spauracchio del berlusconismo che torna. Forse non smetteremmo dall'oggi al domani di ascoltare il lamento sulla pesante eredità lasciata dal passato, sulle ferite ancora da cicatrizzare nella coscienza morale del paese, sull'urgenza di tirare la cinghia per rimediare ai danni provocati dai precedenti inquilini. Ma con il passare delle settimane l'attenzione di tutti andrebbe quasi naturalmente a posarsi sulle cose da fare nel lungo periodo, con sensibile giovamento alla prospettiva di un governo che potrebbe spiegare con maggiore serenità la direzione nella quale si sta muovendo. Perché quel governo avrebbe comunque di fronte a sé un'opposizione agguerrita e rigorosa, ma impegnata a cercare al proprio interno le risorse politiche e personali per voltare pagina. E chissà che a sinistra non si discuterebbe meglio anche di partito democratico e affini, potendo pensare al domani con più tranquillità.
Forse mettendo persino in cantiere un avvicendamento delle proprie classe dirigenti, con la dovuta pacatezza e i necessari onori per chi ha tenuto il timone tanto a lungo, ma associando quel capolavoro di ingegneria così difficile da vendere alle masse con l'arrivo di nuove leve né postcomuniste, né postsocialiste né postdemocristiane.
Ma anche per il centrodestra gli effetti di un avvenimento tanto normale non sarebbero meno salutari. In fondo molte sue personalità di rilievo potrebbero liberare una buona parte della giornata dal compito di rassicurare Berlusconi della propria lealtà, dedicandosi finalmente a discutere di politica.