Premetto che non mi intendo di queste cose, per la semplice ragione che gli unici “gialli” ai quali mi sia mai appassionato sono quei film d’azione con inseguimenti folli per le strade di Manhattan o di San Francisco, quelli dobe Bruce Willis si incarica di dare una sistemata a qualche pazzo furioso scapato di galera e intenzionato a mettere sottosopra il pianeta. Dunque tendo a seguire più il mio naso che a seguire con scrupolo i mille fili invisibili delle spy stories, soprattutto quelle dove si esercita il genio italico delle mezze verità e delle mezze bugie, condite da un gusto casereccio per l’improvvisazione e una spiccata tendenza alla cialtroneria. Proprio per questo mi sentirei di condividere pienamente l’impostazione del Foglio. Uso il condizionale perché, in effetti, non voglio assumermi troppe responsabilità.
C’è da dire che il giornale di Giuliano Ferrara, a sua volta, fa un paio di premesse—che stavolta condivido senza condizionale—quanto mai opportune se non addirittura essenziali. Insomma, un approccio al problema che mi sembra importante segnalare. Copio incollo qui di seguito il pezzo, che ha oltretutto il merito di essere molto breve.
Premesso che il teorema di Enrico Deaglio – soggetto di un fortunato dvd e di un libro andati esauriti in edicola e oggetto di numerosi articoli dedicatigli da giornali e televisioni – sui presunti brogli elettorali del centrodestra si è già dimostrato infondato anche solo per elementari ragioni tecniche. Premesso anche che finché non saranno note le carte segretate della commissione parlamentare Mithrokhin non si potrà dire altrettanto di quello del coinvolgimento di esponenti della politica italiana nella rete spionistica dell’ex Unione Sovietica. Si può però notare un certo parallelismo tra le due inchieste. Quella giornalistica del direttore del Diario come quella parlamentare della commissione presieduta dal senatore di Forza Italia Paolo Guzzanti erano animate dalla volontà di portare alla luce, a tutti i costi, qualcosa di torbido. Così Enrico Deaglio si è affidato all’analogia, che non è precisamente un procedimento scientifico, per travasare i sospetti, peraltro smentiti dalla magistratura americana, sui brogli del conteggio elettronico dei voti della Florida sulla procedura cartacea delle elezioni italiane. Guzzanti ha cercato invece fonti nel grande caos dei reduci del Kgb, ed è probabilmente incappato nella ragnatela dei doppi e dei tripli ruoli che si recitano in quel sottobosco, più feroce e meno romantico di quello descritto dai romanzi di John Le Carré. Resta il fatto che la fantapolitica del direttore del Diario e le contorte vicende di un consulente della commissione parlamentare Mitrokhin hanno tenuto e tengono banco nella grande informazione italiana. Tutti sanno che si tratta di merce avariata, ma capace di solleticare qualche appetito sensazionalista, che evidentemente non è un’esclusiva di Deaglio e Guzzanti.