Ancora sull’Iran, ancora sul Foglio, ancora sulla manifestazione pro-studenti di stasera, davanti all’ambasciata iraniana (via Nomentana, angolo via Santa Costanza, Roma, ore 20). Giustamente si fa osservare questa semplice e triste verità:
L’Iran fa paura, ma la paura degli iraniani non fa notizia. Il sismografo dell’indignazione internazionale resta fermo quando si tratta delle tragedie pubbliche e private degli iraniani. In sessanta minuti d’intervista ad Ahmadinejad, Mike Wallace non ha ritenuto opportuno incalzare il presidente sulla repressione nei confronti dei concittadini, lo scorso agosto. Eppure più di 2,5 milioni di iraniani dal ’79 a oggi sono finiti in prigione per reati politici. Molti non ne sono usciti. Sono monarchici, liberali e comunisti, intellettuali, studenti, professori, operai, teologi e mistici sufi. Da giugno nelle università ci sono stati 136 sit-in di protesta contro le epurazioni del regime. Il 12 dicembre un gruppo di studenti del politecnico Amir Kabir ha sfidato il presidente Ahmadinejad.
Un’altra semplice verità: in Iran non protestano solo gli studenti. Infatti:
Poco più di un anno fa uno sciopero dei conducenti d’autobus di Teheran ha paralizzato la capitale: inneggiavano contro l’oppressione. A marzo e a giugno si sono riuniti nei parchi di Teheran gruppi di donne a invocare “azadi”, libertà, inseguite e percosse da vigilantes in borghese che hanno colpito nel mucchio senza fermarsi, neanche dinnanzi all’età avanzata della poetessa Simin Behbehani. Il primo maggio un gruppo di lavoratori iraniani ha ridicolizzato la manifestazione ufficiale. Le voci dei paramilitari bassiji sono state sopraffatte da grida più forti. “Scioperare è un nostro diritto inalienabile”, hanno urlato facendo il verso ai cartelli sull’inalienabile diritto al nucleare. Ad agosto sono insorti gli agricoltori di Amol, a settembre ii minatori e gli
operai dell’industria tessile di Kashan. Sui loro manifesti c’era scritto: “Vergogna! Protestate per i diritti negati dei palestinesi e poi uccidete gli iraniani”.
Certamente, se parecchi laggiù dovrebbero vergognarsi, dalle nostre parti si suppone che debbano fischiare le orecchie a più d’uno. In genere, siamo tanto disamorati del privilegio di vivere in Paesi liberi che il coraggio e l’abnegazione di chi si batte per essere come noi—pur con tutte le nostre imperfezioni—non ci “commuove” minimamente, anzi, ci lascia perfettamente indifferenti, oppure scettici, o annoiati. “In genere,” però, perché qualcuno che nel quadretto non si riconosce, che non ci sta, è rimasto. E presumibilmente sarà sotto l’ambasciata dell’Iran stasera. In persona o in spirito. Le stelle si vedono quando è buio.