April 28, 2007
April 27, 2007
Quell'«atmosfera malvagia» che tutto pervade
Un inserto da non perdere sul Foglio di oggi: si possono leggere ampi stralci del testo del discorso di monsignor Angelo Amato, segretario della congregazione per la Dottrina della fede, che tanto scandalo ha suscitato presso l’opinione pubblica laicista, nutritasi dei resoconti parziali e “mirati” dei media di quell’area politico-culturale, che hanno riportato soltanto brani come quello sul “terrorismo dal volto umano:”
Una lettura più completa, secondo la presentazione dell’Elefantino, è a questo punto d’obbligo, dopodiché ognuno è libero di giudicare, ma almeno a ragion veduta. In effetti, il ragionamento di monsignor Amato ha un respiro molto più ampio di quel che si potrebbe pensare fermandosi ai resoconti di cui sopra. Si tratta, infatti, di una riflessione sulle radici e sull’essenza del male che “è dentro di noi e intorno a noi,” tanto che ogni giorno, seguendo quanto riportano i giornali e i telegiornali, o basandoci sulle informazioni che ricaviamo da Internet, “noi assistiamo a un film perverso sul male,” sull’“onda maligna che ci assale quotidianamente.”
Su questa “fenomenologia del male” il segretario della congregazione per la Dottrina della fede, dopo aver richiamato le interpretazioni proposte dai filosofi e dalle religioni non cristiane, ha esposto il punto di vista della Chiesa, utilizzando parole e concetti dello stesso Pontefice. Obiettivamente, il linguaggio è duro, così come la denuncia è senza fronzoli e la via d’uscita proposta senza compromessi, affilate entrambe come una spada:
Onde preservare il tutto dall’oblio ho messo al sicuro il paginone del Foglio, inclusa la premessa dell’Elefantino, che trae spunto anche dalla storiaccia della scuola materna di Rignano Flaminio e da un’inchiesta sull’inquietante argomento pubblicata ieri su la Repubblica, a firma di Carlo Bovini, e che può considerarsi—a giudizio del direttore del Foglio—“esemplare del meglio” della professione giornalistica. L’approccio, sia ben chiaro, non è colpevolista, e tuttavia non è tenero verso l’«atmosfera malvagia» che pervade il nostro tempo. Perché il punto, alla fin fine, non è trovare dei colpevoli da dare in pasto all’opinione pubblica inferocita, ma piuttosto di convincersi che non si può vivere come se il male non ci fosse. L’”Apocalisse di ogni giorno” si alimenta anche del silenzio che si vorrebbe far calare sulla tragica realtà del male.
subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale, manipolando ad arte il linguaggio tradizionale, con espressioni che nascondono la tragica realtà dei fatti. Ad esempio, l’aborto viene chiamato interruzione volontaria della gravidanza e non uccisione di un essere umano indifeso […].
Una lettura più completa, secondo la presentazione dell’Elefantino, è a questo punto d’obbligo, dopodiché ognuno è libero di giudicare, ma almeno a ragion veduta. In effetti, il ragionamento di monsignor Amato ha un respiro molto più ampio di quel che si potrebbe pensare fermandosi ai resoconti di cui sopra. Si tratta, infatti, di una riflessione sulle radici e sull’essenza del male che “è dentro di noi e intorno a noi,” tanto che ogni giorno, seguendo quanto riportano i giornali e i telegiornali, o basandoci sulle informazioni che ricaviamo da Internet, “noi assistiamo a un film perverso sul male,” sull’“onda maligna che ci assale quotidianamente.”
Su questa “fenomenologia del male” il segretario della congregazione per la Dottrina della fede, dopo aver richiamato le interpretazioni proposte dai filosofi e dalle religioni non cristiane, ha esposto il punto di vista della Chiesa, utilizzando parole e concetti dello stesso Pontefice. Obiettivamente, il linguaggio è duro, così come la denuncia è senza fronzoli e la via d’uscita proposta senza compromessi, affilate entrambe come una spada:
Il Papa parla di un’atmosfera malvagia, che assomiglia molto a quanto abbiamo detto all’inizio a proposito della fenomenologia del male. Il male oggi non è solo azione di singoli o di gruppi ben individuabili, ma proviene da centrali oscure, da laboratori di opinioni false, da potenze anonime che martellano le nostre menti con messaggi falsi, giudicando ridicolo e retrogrado un comportamento conforme al Vangelo.
“E chi non vedrebbe che ci sono avvelenamenti mondiali del clima spirituale che minacciano l’umanità nella sua dignità, addirittura nella sua esistenza? La singola persona, anzi, le stesse comunità umane sembrano irrimediabilmente abbandonate all’azione di queste potenze. Il cristiano sa che, da solo, neppure lui può riuscire a dominare questa minaccia. Ma nella fede, nella comunione con l’unico vero Signore del mondo, gli è donata l’“armatura di Dio”, con cui – nella comunione dell’intero Corpo di Cristo – può opporsi a queste potenze, sapendo che il Signore ci restituisce nella fede l’aria depurata da respirare – il soffio del Creatore, il soffio dello Spirito Santo, nel quale soltanto il mondo può essere risanato”.
Onde preservare il tutto dall’oblio ho messo al sicuro il paginone del Foglio, inclusa la premessa dell’Elefantino, che trae spunto anche dalla storiaccia della scuola materna di Rignano Flaminio e da un’inchiesta sull’inquietante argomento pubblicata ieri su la Repubblica, a firma di Carlo Bovini, e che può considerarsi—a giudizio del direttore del Foglio—“esemplare del meglio” della professione giornalistica. L’approccio, sia ben chiaro, non è colpevolista, e tuttavia non è tenero verso l’«atmosfera malvagia» che pervade il nostro tempo. Perché il punto, alla fin fine, non è trovare dei colpevoli da dare in pasto all’opinione pubblica inferocita, ma piuttosto di convincersi che non si può vivere come se il male non ci fosse. L’”Apocalisse di ogni giorno” si alimenta anche del silenzio che si vorrebbe far calare sulla tragica realtà del male.
April 26, 2007
La promessa mantenuta di Corvo Bianco
Fu soprannominato Corvo Bianco ed ebbe meriti e demeriti commisurati all’impresa nella quale si imbarcò, cioè grandi, anzi enormi. Dimostrò durezza e coerenza. Michail Gorbaciov, il suo storico rivale, ebbe modo di sperimentare di persona entrambe: quando, nel giugno 1990, l’allora presidente del Presidium del soviet supremo della Repubblica socialista federativa russa, dette il via ad un conflitto di potere devastante con il Cremino (retto appunto da Gorbaciov), e quando, prigioniero nella sua dacia in Crimea nei giorni del tentato colpo di stato del 19-21 agosto 1991, il fiero avversario Boris Nikolaevich ne ottenne la liberazione schierandosi apertamente contro i golpisti. Fu proprio in quelle drammatiche circostanze che la figura di Eltsin divenne di colpo famosa in tutto il mondo: chi non ricorda quando salì su un carro armato dei ribelli per arringare la folla davanti al Parlamento russo, riuscendo in tal modo ad evitare un bagno di sangue?
Oggi Avvenire, con un editoriale firmato da Luigi Geninazzi, ricorda e rende omaggio a un aspetto di Corvo Bianco meno noto, ma non per questo meno importante: con lui si è realizzata quel che Berdjaev chiamò «l’idea russa», vale a dire un rapporto specialissimo tra il popolo e la religione. Non è certo per caso che Boris Eltsin è stato il primo capo di Stato russo ad avere un funerale religioso dai tempi degli zar. In particolare, l’uomo seppe tener fede a una promessa:
Giustamente l’editoriale non nasconde che vi furono errori, anche molto gravi, ma fa presente che non si può non onorare la memoria di un uomo che si distinse “per la sua strenua difesa del principio di libertà in un Paese che era diventato sinonimo di dittatura.” Mi pare che la definizione sia perfetta. E se posso—non solo perché "zar Boris" mi era simpatico—la faccio mia.
Oggi Avvenire, con un editoriale firmato da Luigi Geninazzi, ricorda e rende omaggio a un aspetto di Corvo Bianco meno noto, ma non per questo meno importante: con lui si è realizzata quel che Berdjaev chiamò «l’idea russa», vale a dire un rapporto specialissimo tra il popolo e la religione. Non è certo per caso che Boris Eltsin è stato il primo capo di Stato russo ad avere un funerale religioso dai tempi degli zar. In particolare, l’uomo seppe tener fede a una promessa:
Ci teneva alla libertà, prima di tutto quella religiosa. L’aveva promesso a Giovanni Paolo II nella prima storica visita che compì in Vaticano il 20 dicembre del 1991, all’indomani della fine dell’Unione Sovietica. In quell’occasione il presidente della Federazione Russa che di lì a cinque giorni avrebbe preso il posto di Gorbaciov al Cremlino affermò solennemente che avrebbe garantito la piena libertà «a tutte le confessioni religiose senza alcuna distinzione». L’avrebbe dimostrato coi fatti qualche anno più tardi, respingendo una legge sul culto, già approvata dal Parlamento, che penalizzava le minoranze religiose a cominciare dalla piccola comunità cattolica. E, vale la pena ricordarlo, si rifiutò di firmare una legge iniqua nonostante le pressioni della Chiesa ortodossa e gli umori nazionalistici della Russia profonda.
Giustamente l’editoriale non nasconde che vi furono errori, anche molto gravi, ma fa presente che non si può non onorare la memoria di un uomo che si distinse “per la sua strenua difesa del principio di libertà in un Paese che era diventato sinonimo di dittatura.” Mi pare che la definizione sia perfetta. E se posso—non solo perché "zar Boris" mi era simpatico—la faccio mia.
April 24, 2007
Evviva il Partito della Sera!
E adesso è chiaro a tutti che è il Corriere a dare la linea al Partito democratico. L’avevo anche ipotizzato, in privato, ma i fatti sono andati al di là dell’immaginazione. Sono stati Angelo Panebianco e Paolo Mieli—con gli editoriali, rispettivamente, del 15 e del 19 aprile—i profeti che hanno spianato la strada agli eventi futuri. Profeti, ben inteso, nel senso biblico, cioè non tanto o soltanto coloro i quali pre-vedono ciò che deve accadere, che «mettono davanti cose nascoste», quanto gli inviati dall’alto che parlano «al posto di», «per», «a favore di», che parlano davanti al popolo a nome di Dio e per suo comando. Basta sostituire a Dio qualche altra “entità superiore”— le scommesse sono aperte circa l’identità del misterioso committente …—e il gioco è fatto.
In effetti i due editoriali erano molto efficaci e, credo, anche ampiamente condivisibili da parte di chi si preoccupa più di far sì che il sistema politico italiano nel suo complesso possa tirarsi fuori dal pantano in cui sguazza da tempo immemorabile, che di tirare acqua al mulino di qualcuno. Comunque i ruoli erano ben distinti: Panebianco ha rappresentato la pars destruens e non ha lesinato critiche, per quanto costruttive, Mieli ha svolto la pars construens, indicando il possibile radioso futuro del partito nascente. Il professore, cioè, ha attaccato duramente la pessima propensione a definire le identità politiche “in rapporto al passato anziché al futuro,” per cui “ci si aggrega contro qualcun altro usando il passato (diviso) come fonte di identità.” Il che comporta che ci si senta esentati “dal dover essere troppo dettagliati sul futuro, su ciò che si intende fare.” Errore capitale nel quale solo “un outsider totale” come Silvio Berlusconi—e qui il colpo ai ds e ai dl è stato crudele—non è caduto. Poche storie, insomma, qui non vale più la regola del
Qui, cioè appunto nel definire la propria identità politica in rapporto al futuro anziché al passato, con il «contratto con gli italiani» e il proposito di tagliare le tasse ribadito in tutte le salse, Berlusconi ha fatto scuola, infischiandosene dello “scandalo” che il suo stile diretto suscitava nell’opinione pubblica schierata a sinistra. Conclusione, ammonimento e auspicio di Panebianco:
Mica male, il professore. Ma vediamo cosa aveva scritto il direttore del Corriere. La faccio breve: mettiamo da parte—ha esortato—“il modo critico, talvolta ipercritico (giustamente ipercritico) con il quale un po’ da tutti è stata seguita la gestazione del Partito democratico,” e prendiamo coscienza che ciò a cui siamo di fronte è “un evento di dimensioni storiche.” Perché? Beh, il nome, per esempio …
E poi? Poi basta, sembra di capire, ma i nomi non sono acqua fresca. Comunque il futuro potrà essere radioso veramente, ma ad un patto:
Interessante anche la spiegazione dell’arcano, che, ça va sans dire, è stata anticipata dal Corriere, ma stavolta per la penna di Angelo Panebianco. Scrive Maltese:
E adesso attenzione a quest’altro passaggio che sembra scritto da Panebianco in persona:
Direi che c’è di che rimanere sgomenti. Roba da Antico Testamento questa confusione dei piani temporali: il prima (del congresso ds) e il poi che si fondono e si confondono, e tu che non riesci più a distinguere tra la profezia e la realizzazione della medesima.
Ma non è finita qui. Ci ha pensato Paolo Franchi, sul Riformista, a chiudere il cerchio. Che cos’altro è emerso dal congresso diessino? L’America, naturalmente, cioè il “partito americano.” Ebbene, sentite qua:
Più chiaro di così si muore: “le previsioni (o le prescrizioni)” di Paolo Mieli! E’ il sigillo definitivo sul carattere autenticamente profetico dell’ormai storico editoriale.
Comunque, a scanso di equivoci, mi corre l’obbligo di fare una precisazione: a me, personalmente, la svolta “americana” e anti-ideologica sta benissimo—per il bene del Paese, non perché intenda aderire: figuriamoci se potrei mai diventare veltroniano!—come pure la fuoriuscita preventiva dal Pd di taluni nostalgici del socialismo (sì, quello che hanno combattuto usque ad sanguinem, e fino a l’altro ieri, sia i neo-democtats sia i neo-socialisti). Ha ragione, a tal riguardo, l’araldo del veltronismo Curzio Maltese:
Ovvero, ha ragione fino a un certo punto, dal momento che tra le parentesi quadre Maltese aveva inserito anche i nomi di Caldarola, Macaluso e Nicola Rossi. Francamente sulla presenza in elenco dei primi due non sarei molto d’accordo, mentre sul terzo mi domando se al Nostro non sia scivolata la penna mentre vergava la sua lista dei cattivi …
Quindi, massimo rispetto e un certo compiacimento per come si stanno mettendo le cose. Per il resto non andrei tanto a sottilizzare su certi aspetti un po’ comici di tutto l’apparato, come la colonna sonora del congresso di Firenze («Over The Rainbow» …) o certe locuzioni piuttosto singolari sotto il profilo semantico. Però, onestamente, non posso che dare atto ad Adriano Sofri di avermi regalato un momento di sano e innocente divertimento, con il seguente commento telegrafico, dopo tanta seriosa compunzione di fronte allo storico evento:
Infine, esorterei i lettori che hanno colto la portata epocale di quanto testè richiamato a non lasciarsi fuorviare e demoralizzare da un editoriale alquanto sarcastico del Foglio di oggi. Per una volta, limitiamoci a contemplare il bicchiere mezzo pieno. Prosit.
In effetti i due editoriali erano molto efficaci e, credo, anche ampiamente condivisibili da parte di chi si preoccupa più di far sì che il sistema politico italiano nel suo complesso possa tirarsi fuori dal pantano in cui sguazza da tempo immemorabile, che di tirare acqua al mulino di qualcuno. Comunque i ruoli erano ben distinti: Panebianco ha rappresentato la pars destruens e non ha lesinato critiche, per quanto costruttive, Mieli ha svolto la pars construens, indicando il possibile radioso futuro del partito nascente. Il professore, cioè, ha attaccato duramente la pessima propensione a definire le identità politiche “in rapporto al passato anziché al futuro,” per cui “ci si aggrega contro qualcun altro usando il passato (diviso) come fonte di identità.” Il che comporta che ci si senta esentati “dal dover essere troppo dettagliati sul futuro, su ciò che si intende fare.” Errore capitale nel quale solo “un outsider totale” come Silvio Berlusconi—e qui il colpo ai ds e ai dl è stato crudele—non è caduto. Poche storie, insomma, qui non vale più la regola del
dimmi il tuo patronimico, dimmi di chi sei figlio, e saprò chi sei. Vale la regola: dimmi (con precisione, senza menare il can per l’aia) cosa farai e saprò chi sei.
Qui, cioè appunto nel definire la propria identità politica in rapporto al futuro anziché al passato, con il «contratto con gli italiani» e il proposito di tagliare le tasse ribadito in tutte le salse, Berlusconi ha fatto scuola, infischiandosene dello “scandalo” che il suo stile diretto suscitava nell’opinione pubblica schierata a sinistra. Conclusione, ammonimento e auspicio di Panebianco:
Dopo che Berlusconi ha spezzato il cerchio, continuare a declinare al passato le identità rischia di essere suicida. Il Partito democratico non sarà una impresa vitale se non saprà districarsi dai lacci del passato, se non saprà costruire la propria identità in rapporto al futuro.
Mica male, il professore. Ma vediamo cosa aveva scritto il direttore del Corriere. La faccio breve: mettiamo da parte—ha esortato—“il modo critico, talvolta ipercritico (giustamente ipercritico) con il quale un po’ da tutti è stata seguita la gestazione del Partito democratico,” e prendiamo coscienza che ciò a cui siamo di fronte è “un evento di dimensioni storiche.” Perché? Beh, il nome, per esempio …
Non ci sembra poi di scarso rilievo la circostanza che i fondatori della nuova formazione politica, anziché ispirarsi a una delle denominazioni del centrosinistra europeo, abbiano optato per quella del più antico partito statunitense, il partito di Franklin Delano Roosevelt ma anche dell’anticomunista Harry Truman, di John Kennedy ma anche del «guerrafondaio» Lyndon Johnson e poi di Jimmy Carter e di Bill Clinton.
E poi? Poi basta, sembra di capire, ma i nomi non sono acqua fresca. Comunque il futuro potrà essere radioso veramente, ma ad un patto:
Molto, molto interessante la conclusione di Mieli. Anzi, molto, molto profetica (sempre nel senso biblico). Infatti il “capo certo e carismatico” è spuntato come per incanto dai congressi dei due partiti fondatori. Chi? Domanda retorica, evidentemente: “l’unto del Signore” è Walter. Basta aver letto ciò che ha scritto Curzio Maltese su la Repubblica (ieri) per far evaporare istantaneamente eventuali dubbi residui e riserve:Solo se guidato fin dai primi passi da un capo certo e carismatico il partito democratico potrà avere successo. Un successo i cui effetti, riverberandosi anche nel campo opposto, possono produrre una stabilizzazione dell’intero sistema. Del che c’è evidente bisogno.
La lotta per la guida del Partito Democratico sarà anche aperta, anzi apertissima, come si sforzano di dire tutti, ma intanto l'egemonia culturale di Walter Veltroni sul nuovo partito è più solida di quella di Antonio Gramsci nel nascente Pci […].
Interessante anche la spiegazione dell’arcano, che, ça va sans dire, è stata anticipata dal Corriere, ma stavolta per la penna di Angelo Panebianco. Scrive Maltese:
Non è un oratore né un ideologo, non vanta un grande carisma e non è neppure telegenico. Si può dire che ha sfruttato al meglio una qualità personale unica nel gruppo dirigente del suo partito e non soltanto. È il solo politico della sua generazione a non subire l'ossessione del passato. Come D'Alema e Fassino, Mussi e Angius. Bersani e Finocchiaro, Bassolino e Cofferati. Forse perché davvero «non è mai stato comunista», a differenza degli altri. È la tragedia, il limite dei suoi rivali interni, quel correre verso una modernizzazione che significa sempre fare i conti col passato e mai con il presente e il futuro.
E adesso attenzione a quest’altro passaggio che sembra scritto da Panebianco in persona:
In un simile vecchiume, Walter Veltroni e Silvio Berlusconi sono le sole figure pubbliche a sostenere la prevalenza del presente, l'unico tempo che davvero conti in politica. Ed è questa la principale chiave del successo di entrambi nei rispettivi schieramenti.
Direi che c’è di che rimanere sgomenti. Roba da Antico Testamento questa confusione dei piani temporali: il prima (del congresso ds) e il poi che si fondono e si confondono, e tu che non riesci più a distinguere tra la profezia e la realizzazione della medesima.
Ma non è finita qui. Ci ha pensato Paolo Franchi, sul Riformista, a chiudere il cerchio. Che cos’altro è emerso dal congresso diessino? L’America, naturalmente, cioè il “partito americano.” Ebbene, sentite qua:
In sostanza: mentre molti, e noi tra questi, nemmeno se ne accorgevano, persi come si era a baloccarci attorno a questioni e questioncelle dall'insopportabile retrogusto novecentesco, stava arrivando l'America. Secondo le previsioni (o le prescrizioni) formulate in apertura delle assise della Quercia dal direttore del Corriere della sera. E come in fondo si conviene, se vuole uscire dalla sua eterna condizione di crisi, al paese per tanti aspetti più americanizzato dell'Europa continentale.
Più chiaro di così si muore: “le previsioni (o le prescrizioni)” di Paolo Mieli! E’ il sigillo definitivo sul carattere autenticamente profetico dell’ormai storico editoriale.
Comunque, a scanso di equivoci, mi corre l’obbligo di fare una precisazione: a me, personalmente, la svolta “americana” e anti-ideologica sta benissimo—per il bene del Paese, non perché intenda aderire: figuriamoci se potrei mai diventare veltroniano!—come pure la fuoriuscita preventiva dal Pd di taluni nostalgici del socialismo (sì, quello che hanno combattuto usque ad sanguinem, e fino a l’altro ieri, sia i neo-democtats sia i neo-socialisti). Ha ragione, a tal riguardo, l’araldo del veltronismo Curzio Maltese:
La stessa lagna sull'abbandono di Mussi e Angius, con tutto il rispetto per i sentimenti, la dice lunga. Se il Partito Democratico incarnasse davvero la novità che pretende di rappresentare, altri cento Mussi, Angius, […] sarebbero stati spinti sulla strada dell'addio.
Ovvero, ha ragione fino a un certo punto, dal momento che tra le parentesi quadre Maltese aveva inserito anche i nomi di Caldarola, Macaluso e Nicola Rossi. Francamente sulla presenza in elenco dei primi due non sarei molto d’accordo, mentre sul terzo mi domando se al Nostro non sia scivolata la penna mentre vergava la sua lista dei cattivi …
Quindi, massimo rispetto e un certo compiacimento per come si stanno mettendo le cose. Per il resto non andrei tanto a sottilizzare su certi aspetti un po’ comici di tutto l’apparato, come la colonna sonora del congresso di Firenze («Over The Rainbow» …) o certe locuzioni piuttosto singolari sotto il profilo semantico. Però, onestamente, non posso che dare atto ad Adriano Sofri di avermi regalato un momento di sano e innocente divertimento, con il seguente commento telegrafico, dopo tanta seriosa compunzione di fronte allo storico evento:
Tra gli slogan del congresso Ds (della Margherita non so, ne ho ascoltato una parte) ricorreva l’opposizione fra nuovo partito e partito nuovo. “Non vogliamo un nuovo partito, ma un partito nuovo”. Lo si è ripetuto tante volte, e mi sono chiesto come se la cavassero le interpreti che dovevano tradurre in inglese per le delegazioni straniere. Ne deriva un’impressione un po’ meschina della nostra retorica politica, ma anche una certa soddisfazione per i vantaggi che la lingua italiana offre con la libertà di combinazione di sostantivi e aggettivi. In italiano potremmo costruire anche un vecchio partito nuovo, un nuovo partito vecchio, e perfino un nuovo partito nuovo. Dobbiamo solo rinunciare a spiegarlo alle delegazioni straniere.
[«Piccola Posta», sul Foglio di oggi]
Infine, esorterei i lettori che hanno colto la portata epocale di quanto testè richiamato a non lasciarsi fuorviare e demoralizzare da un editoriale alquanto sarcastico del Foglio di oggi. Per una volta, limitiamoci a contemplare il bicchiere mezzo pieno. Prosit.
Comunicazione di servizio
Mi scuso per la prolungata latitanza dal blog. Sono stato assorbito da vari altri impegni, tra i quali qualche nuovo (per me) programma per il pc che sto sperimentando in questi giorni. Ogni tanto è piacevole scoprire che, anche al di là della blogosfera, l’informatica è un territorio ricco di sorprese e di potenzialità insospettate.
In serata spero di poter postare qualcosa che è in gestazione da giorni, e che per ora è soltanto una montagna di links e alcune annotazioni. A più tardi.
In serata spero di poter postare qualcosa che è in gestazione da giorni, e che per ora è soltanto una montagna di links e alcune annotazioni. A più tardi.
April 22, 2007
Campioni!
«Finalmente è arrivato questo scudetto, siamo contenti. Ma il mio primo pensiero non può che andare a Giacinto Facchetti. Questo campionato ha l'impronta della sua generosità e onestà.»
L'ha detto Massimo Moratti, ma è anche la prima cosa che è venuta in mente a un interista qualsiasi come me. Ciao Cipe, sarai contento, di lassù.
April 19, 2007
E Ferrara ruppe l'incantesimo
Nuova strage, stesse facce attonite, stessi commenti. Inevitabile, ma frustrante e persino insopportabile, perché, come ricorda Giuliano Ferrara sul Foglio citando Kurt Vonnegut, “dopo una strage non c’è niente di intelligente da dire.”
La citazione, invero, sarebbe un ottimo incipit per un editoriale o un post che si chiudessero un attimo dopo, con l’aggiunta soltanto di un «quindi» seguito da poche, imbarazzate parole di commiato. Ferrara, però, ha scelto diversamente, e così mi regolerò anch’io, anche se con motivazioni diverse. Quella del direttore del Foglio è che “qualcosa di intelligente forse era stato detto prima.” Da Cormack McCarthy, vincitore del Pulitzer per il suo romanzo sull’Apocalisse, The Road,
“Vogliamo lasciarci sfiorare dal dubbio?”—domanda Giuliano Ferrara. Certo, ci mancherebbe, intanto però registriamo che il direttore si è sbilanciato non poco, essendosi fatto saldamente afferrare da quel “dubbio apocalittico” dal quale invita i lettori a lasciarsi appena sfiorare. Ci vuole coraggio e faccia tosta di questi tempi. Significa mettersi contro un po’ tutti, forse pure i preti, i monaci e le suore, o almeno buona parte di costoro, dal momento che ben di rado risuona nelle chiese e nei chiostri l’invito a “prepararsi” all’Evento. E pensare che i primi cristiani pensavano fosse molto, molto imminente. Poi, con lo scorrere dei secoli si è realizzato che avevamo ancora tempo …, e si è finito col considerare la cosa talmente remota da rendere perfino imbarazzante qualsiasi riferimento esplicito che non fosse, per così dire, puramente teorico. Per sublime ironia della sorte, a rompere l’incantesimo è un ateo dichiarato, ancorché «devoto».
Già martedì sera, a Otto e mezzo, in una puntata catastrofica quanto alla scelta degli ospiti—del tutto inadeguata alle intenzioni del conduttore—, Ferrara aveva posto la questione, ma nessuno ha raccolto il guanto. Anche perché, forse, la provocazione è stata un po’ improvvisata e (quindi) maldestra. Il fatto è che ‘sti atei, per quanto volenterosi, non hanno esperienza di certe cose, non hanno, diciamo, il tatto e la … prudenza che ci vorrebbe. Oh che ti pare che tu puoi parlare del diavolaccio come niente? E come la mettiamo con tutte le confraternite e le obbedienze che ci sono, filosofiche o materialone che siano, che come metti fuori il naso ti passano per le armi—metaforicamente parlando—e ti trascinano sulla pubblica piazza come un reprobo, un malato di mente o peggio?
Per sua fortuna il direttore ha pensato bene di affidarsi anche “alla competenza postuma e asettica del professore di sociologia e criminologia,” che nel caso specifico è James Alan Fox, autore di The Will to Kill, che sul Los Angeles Times ha usato argomentazioni ben più ortodosse:
Chiaramente, però, Ferrara non è d’accordo (io, invece, lo sono abbastanza):
Ora, a me l’obiezione sembra deboluccia: una cattiveria senza senso? Ma è un ossimoro! O è cattiveria o è senza senso, se è l’una cosa non può essere l’altra. Se è meaningless è pazzia e basta, nel caso specifico la follia dei piagnoni di cui parla il professore, se invece un senso ce l’ha, allora è qualcos’altro, è il Male. Anche se indubbiamente tra le due fattispecie c’è una certa contiguità: chi uccide per avidità non è «un pazzo», ma è sicuramente «uno stolto», cioè un pazzo la cui cura non spetta alla Psichiatria, bensì alla Saggezza, cioè alle religioni, alle fedi, al misticismo. Le azioni possono, cioè, apparire sensate ma non esserlo veramente (=secondo Verità). Questione di punti di vista. Con la stessa logica, però, bisogna riconoscere che anche una cattiveria senza senso può avere un senso: ciò che può sembrare folle può essere in realtà semplicemente malvagio (cioè folle, ma in quell’altro senso), e dunque opera del Maligno. Nel caso di Cho Seung Hui di cosa si trattava? Vai a saperlo!
Ma Ferrara si riscatta alla grande con la chiusa dell’editoriale:
E’ la prima volta, se non sbaglio, che il direttore del Foglio fa una “bassa insinuazione” sull’America, sul suo «tratto caratteristico». Non potrei essere più d’accordo. Questa eclissi dei significati è esattamente la ragione per la quale, come mi è già capitato di scrivere, a giudicare dai risultati, non credo che la religione della Right Nation sia poi tanto migliore della nostra. Perché il «senso» non difetta soltanto nella testa di quelli come Cho Seung Hui: solo un’intera società (o civiltà) può produrre simili mostri. E l’America, la Bella, l’Amata, può avere mille ragioni e innumerevoli meriti, ma non è il Bene. Anch’essa ha bisogno di essere redenta, più o meno come la vecchia e disillusa Europa. Con la differenza che il fattore età rende le cose un po’ meno complicate a loro e un po' di più a noi. Ma di questi tempi non è il caso di coltivare insane rivalità. Con gli eventi che secondo alcuni si preparano, poi, sarebbe proprio il caso di unire le forze, di fare, se mi si passa l'espressione, un bagno di umiltà transcontinentale ...
La citazione, invero, sarebbe un ottimo incipit per un editoriale o un post che si chiudessero un attimo dopo, con l’aggiunta soltanto di un «quindi» seguito da poche, imbarazzate parole di commiato. Ferrara, però, ha scelto diversamente, e così mi regolerò anch’io, anche se con motivazioni diverse. Quella del direttore del Foglio è che “qualcosa di intelligente forse era stato detto prima.” Da Cormack McCarthy, vincitore del Pulitzer per il suo romanzo sull’Apocalisse, The Road,
racconto minerale, d’alluminio e scarti di mondo, viaggio di redenzione di un padre e di un figlio verso l’oceano dell’ovest, contro il cielo grigio di cenere, tra i resti dell’umanità e della sua merce, quando tutto era ormai finito e il nulla si era rivelato perché nell’amore paterno si conoscesse, forse, il nome di Dio o l’immagine vera dell’uomo.
“Vogliamo lasciarci sfiorare dal dubbio?”—domanda Giuliano Ferrara. Certo, ci mancherebbe, intanto però registriamo che il direttore si è sbilanciato non poco, essendosi fatto saldamente afferrare da quel “dubbio apocalittico” dal quale invita i lettori a lasciarsi appena sfiorare. Ci vuole coraggio e faccia tosta di questi tempi. Significa mettersi contro un po’ tutti, forse pure i preti, i monaci e le suore, o almeno buona parte di costoro, dal momento che ben di rado risuona nelle chiese e nei chiostri l’invito a “prepararsi” all’Evento. E pensare che i primi cristiani pensavano fosse molto, molto imminente. Poi, con lo scorrere dei secoli si è realizzato che avevamo ancora tempo …, e si è finito col considerare la cosa talmente remota da rendere perfino imbarazzante qualsiasi riferimento esplicito che non fosse, per così dire, puramente teorico. Per sublime ironia della sorte, a rompere l’incantesimo è un ateo dichiarato, ancorché «devoto».
Già martedì sera, a Otto e mezzo, in una puntata catastrofica quanto alla scelta degli ospiti—del tutto inadeguata alle intenzioni del conduttore—, Ferrara aveva posto la questione, ma nessuno ha raccolto il guanto. Anche perché, forse, la provocazione è stata un po’ improvvisata e (quindi) maldestra. Il fatto è che ‘sti atei, per quanto volenterosi, non hanno esperienza di certe cose, non hanno, diciamo, il tatto e la … prudenza che ci vorrebbe. Oh che ti pare che tu puoi parlare del diavolaccio come niente? E come la mettiamo con tutte le confraternite e le obbedienze che ci sono, filosofiche o materialone che siano, che come metti fuori il naso ti passano per le armi—metaforicamente parlando—e ti trascinano sulla pubblica piazza come un reprobo, un malato di mente o peggio?
Per sua fortuna il direttore ha pensato bene di affidarsi anche “alla competenza postuma e asettica del professore di sociologia e criminologia,” che nel caso specifico è James Alan Fox, autore di The Will to Kill, che sul Los Angeles Times ha usato argomentazioni ben più ortodosse:
Dice che sono dei frustrati, quelli che uccidono “senza senso”; aggiunge che sono dei piagnoni, che attribuiscono agli altri i loro fallimenti; che non hanno sostegno emozionale da famiglia e amici; che si imbattono in un avvenimento personale da loro giudicato catastrofico; infine, si dotano con facilità di armi letali. C’è meno compassione in America, è la sua diagnosi per un moltiplicarsi fatale delle stragi senza senso negli ultimi trent’anni, e troppa competizione tra gli umani. Troppi divorzi e poca frequentazione delle chiese, nell’eclissi della comunità tradizionale, insomma un feroce e atroce isolamento che è il prezzo da pagare alla società aperta. Ma il punto vero è in questa domanda del professor Fox, e nella sua risposta disperatamente e politicamente corretta: vero, dice il prof., negli ultimi ventisei anni il numero delle stragi prive di significato è aumentato come mai prima nella storia dei millenni, ma forse possiamo pensare che l’umanità è diventata più cattiva, che gli uomini sono assetati di sangue come mai prima d’ora? Of course not, è la risposta, naturalmente no.
Chiaramente, però, Ferrara non è d’accordo (io, invece, lo sono abbastanza):
Obiezione: perché no? Non guardate la cattiveria, che c’è sempre stata, guardate il suo essere meaningless, senza senso.
Ora, a me l’obiezione sembra deboluccia: una cattiveria senza senso? Ma è un ossimoro! O è cattiveria o è senza senso, se è l’una cosa non può essere l’altra. Se è meaningless è pazzia e basta, nel caso specifico la follia dei piagnoni di cui parla il professore, se invece un senso ce l’ha, allora è qualcos’altro, è il Male. Anche se indubbiamente tra le due fattispecie c’è una certa contiguità: chi uccide per avidità non è «un pazzo», ma è sicuramente «uno stolto», cioè un pazzo la cui cura non spetta alla Psichiatria, bensì alla Saggezza, cioè alle religioni, alle fedi, al misticismo. Le azioni possono, cioè, apparire sensate ma non esserlo veramente (=secondo Verità). Questione di punti di vista. Con la stessa logica, però, bisogna riconoscere che anche una cattiveria senza senso può avere un senso: ciò che può sembrare folle può essere in realtà semplicemente malvagio (cioè folle, ma in quell’altro senso), e dunque opera del Maligno. Nel caso di Cho Seung Hui di cosa si trattava? Vai a saperlo!
Ma Ferrara si riscatta alla grande con la chiusa dell’editoriale:
E domandatevi se questa eclissi dei significati non sia il tratto caratteristico della più moderna tra le società umane, quella società americana che produce con sempre maggiore regolarità sparatorie e racconti apocalittici, dolori e lutti collettivi, frustrazione e ricerca.
E’ la prima volta, se non sbaglio, che il direttore del Foglio fa una “bassa insinuazione” sull’America, sul suo «tratto caratteristico». Non potrei essere più d’accordo. Questa eclissi dei significati è esattamente la ragione per la quale, come mi è già capitato di scrivere, a giudicare dai risultati, non credo che la religione della Right Nation sia poi tanto migliore della nostra. Perché il «senso» non difetta soltanto nella testa di quelli come Cho Seung Hui: solo un’intera società (o civiltà) può produrre simili mostri. E l’America, la Bella, l’Amata, può avere mille ragioni e innumerevoli meriti, ma non è il Bene. Anch’essa ha bisogno di essere redenta, più o meno come la vecchia e disillusa Europa. Con la differenza che il fattore età rende le cose un po’ meno complicate a loro e un po' di più a noi. Ma di questi tempi non è il caso di coltivare insane rivalità. Con gli eventi che secondo alcuni si preparano, poi, sarebbe proprio il caso di unire le forze, di fare, se mi si passa l'espressione, un bagno di umiltà transcontinentale ...
April 16, 2007
Thinking Blogger Award
Through the 2996 list, namely the directory of the bloggers who created a tribute for the victims of 9-11-01, this blog has been nominated for a “Thinking Blogger Award.”
This is all new to me and I greatly appreciate the pleasant surprise. I really think that helping people think is one of the main benefits of blogging.
As part of the acceptance I’m supposed to tag five other blogs for the award. So, here are the five I'm tagging as Thinking Bloggers—or, as I would put it, bloggers that make me think—and passing on the award. In no particular order:
> Italian Bloggers For Giuliani 2008 (in Italian)
> Random Dreamer
> Free Thoughts
> 1972 (in Italian)
> The Right Nation
Nominee instructions:
To nominees: Should you choose to participate, please make sure you pass this list of rules to the blogs you are tagging. The participation rules are simple: 1) If, and only if, you get tagged, write a post with links to 5 blogs that make you think; 2) Link to this post so that people can easily find the origin of the meme; 3) Optional: Proudly display the 'Thinking Blogger Award' with a link to the post that you write.
Enjoy!
This is all new to me and I greatly appreciate the pleasant surprise. I really think that helping people think is one of the main benefits of blogging.
As part of the acceptance I’m supposed to tag five other blogs for the award. So, here are the five I'm tagging as Thinking Bloggers—or, as I would put it, bloggers that make me think—and passing on the award. In no particular order:
> Italian Bloggers For Giuliani 2008 (in Italian)
> Random Dreamer
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> 1972 (in Italian)
> The Right Nation
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Enjoy!
April 14, 2007
Old flames
An old country song I have loved since I heard it the very first time, during the summer of 1980, when I was on my way to Lake Tahoe (between the states of California and Nevada) and while enjoying my first Martini. Even though it wasn’t Dolly Parton who first sang it, it was she who took it to the top of the U.S. country charts right that summer. Anyway I heard “Old Flames Can't Hold A Candle To You” sung by her, and the impact was fantastic.
I still prefer Dolly’s version, but this live version by Johnny Cash & June Carter Cash (noblesse oblige!) is very good too. Enjoy it.
OLD FLAMES CAN'T HOLD A CANDLE TO YOU
Lyrics
Downtown tonight, I saw an old friend, someone who
I use to take comfort from long before I met you
I caught a spark from his eyes of forgotten desire
With a word, or a touch, I could have rekindled that fire
Old flames can't hold a candle to you
No one can light up the night like you do
Flickering embers of love
I've known one or two
But old flames can't hold a candle to you
Sometimes at night, I think of old lovers I've known
I remember how holding them helped me not feel so alone
Then I feel you beside me and even their memories are gone
Like stars in the night lost in the sweet light of dawn
Old flames can't hold a candle to you
No one can light up the night like you do
Flickering embers of love
I've known one or two
But old flames can't hold a candle to you
Old flames can't hold a candle to you
Mmmm......
I still prefer Dolly’s version, but this live version by Johnny Cash & June Carter Cash (noblesse oblige!) is very good too. Enjoy it.
OLD FLAMES CAN'T HOLD A CANDLE TO YOU
Lyrics
Downtown tonight, I saw an old friend, someone who
I use to take comfort from long before I met you
I caught a spark from his eyes of forgotten desire
With a word, or a touch, I could have rekindled that fire
Old flames can't hold a candle to you
No one can light up the night like you do
Flickering embers of love
I've known one or two
But old flames can't hold a candle to you
Sometimes at night, I think of old lovers I've known
I remember how holding them helped me not feel so alone
Then I feel you beside me and even their memories are gone
Like stars in the night lost in the sweet light of dawn
Old flames can't hold a candle to you
No one can light up the night like you do
Flickering embers of love
I've known one or two
But old flames can't hold a candle to you
Old flames can't hold a candle to you
Mmmm......
April 13, 2007
Atei devoti (e non), preti buontemponi e vescovi dispeptici
E’ primavera avanzata, ormai, fa già caldo, dormirei volentieri un paio d’ore in più per notte e mi lascio andare più facilmente a meditazioni oziose, tipo quelle sui massimi sistemi, rifuggendo altrettanto volentieri dalla fatica intellettuale (ed esistenziale) di addentrarmi nei meandri della realtà che ci sta intorno, o meglio dei politicismi che, sui media e non solo, stanno in luogo della realtà medesima—che evidentemente è diventata un’emerita sconosciuta.
Ma non bisogna farsi troppe illusioni neppure in ordine ai massimi sistemi, che ultimamente sembrano subire una sorte analoga a quella della realtà effettuale: facilissimo essere sopraffatti da quell’equivalente del politicismo, in altri contesti, che è la vecchia, ipercollaudata «chiacchiera».
Dunque, primavera o non primavera, è sempre meno frequente imbattersi nelle occasioni mediatiche più propizie a coltivare l‘otium. Uno, se proprio vuole, deve tagliarsi qualche ponte dietro le spalle e chiudersi nella propria biblioteca privata. Ma oggi non è giornata, e dunque rinvio la fuga dal mondo a data da destinarsi e attingo alla stampa quotidiana, che offre due superbe occasioni di … chiacchiera. Della prima è responsabile Il Foglio, che in un editoriale riferisce di un dibattito esilarante svoltosi a Londra. Argomento: quanto meglio vivremmo senza la religione. Protagonisti: “un vanitoso rottweiler di Charles Darwin, un pugile ateista che porta il figlio in vacanza nel Kurdistan iracheno e un apologeta dell’illuminismo ratzingeriano,” cioè, nell’ordine, Richard Dawkins, Christopher Hitchens e Roger Scruton. Ne è venuta fuori, secondo lo Spectator, che ha seguito l’evento, "una delle fiere del pensiero più entusiasmanti degli ultimi anni,” e in ogni caso “la dimostrazione che l’ateismo è la nuova religione.”
Consiglio vivamente la lettura del resoconto, con particolare riguardo non tanto alle tesi del filosofo di Princeton Roger Scruton, estimatore di Papa Ratzinger, quanto a quelle degli altri due relatori. A me le dimostrazioni a contrario son sempre garbate (sono le meno noiose ...), dunque parlo a ragion veduta: come diventare buoni (o migliori) credenti dopo aver ascoltato e soppesato attentamente le tesi dei denigratori della fede. Un esercizio di ginnastica mentale che più laico non si può.
L’altra occasione di fruire di una chiacchiera di lusso l’ha fornita Francesco Merlo su Repubblica. Lo scopo era quello di spezzare una lancia a favore di Angelo Bagnasco, minacciato di morte e dunque scortato dallo Stato. Un intento nobile, senza dubbio, anche se io—sempre per non annoiarsi—inviterei a cogliere e apprezzare come si merita soprattutto la qualità dell’apparato argomentativo.
Dunque, si tratta di questo: bisogna che un po’ tutti ci teniamo stretti i nostri preti,
Bontà sua, nobile Merlo. Prendiamo atto delle buone intenzioni e dello sforzo che deve essergli costato questo endorsement. Ma più di tutto registriamo il pronunciamento a favore del prete italiano:
E che sia chiara una cosa:
Ora, davvero c’è di che essere commossi da tanto trasporto. Tuttavia, un piccolo dubbio mi permetterei di sollevarlo, non per intento polemico ma, se è lecito, pro veritate. Sì, perché …, ehm, il fatto è che quello “stare sopra e mai contro,” e quel che segue, ammesso e non concesso che sia stata la cifra del clero italico, a dispetto (forse) dei “libroni di teologia tedesca,” non è mica tanto evangelico. Perché, alla fin fine, mi pare di ricordare che Lui, il Capo, il Fondatore, abbia asserito di essere venuto “a portare la spada” esortando nel contempo i Suoi, onde evitare spiacevoli equivoci, ad essere “nel” mondo senza essere “del” mondo, e cose di questo genere.
La morale della favola, insomma, potrebbe essere questa: non occorre essere cristiani per apprezzare e amare i preti, e non è necessario che i sacerdoti siano particolarmente fedeli a se stessi e alla propria missione per essere lodati dai laicisti. Sul primo punto si prende atto con soddisfazione. Sul secondo si dissente rispettosamente. Gli atei devoti vanno benissimo, i preti buontemponi un po’ meno. Ma si fa per dire. In fondo si chiacchierava e basta.
Ma non bisogna farsi troppe illusioni neppure in ordine ai massimi sistemi, che ultimamente sembrano subire una sorte analoga a quella della realtà effettuale: facilissimo essere sopraffatti da quell’equivalente del politicismo, in altri contesti, che è la vecchia, ipercollaudata «chiacchiera».
Dunque, primavera o non primavera, è sempre meno frequente imbattersi nelle occasioni mediatiche più propizie a coltivare l‘otium. Uno, se proprio vuole, deve tagliarsi qualche ponte dietro le spalle e chiudersi nella propria biblioteca privata. Ma oggi non è giornata, e dunque rinvio la fuga dal mondo a data da destinarsi e attingo alla stampa quotidiana, che offre due superbe occasioni di … chiacchiera. Della prima è responsabile Il Foglio, che in un editoriale riferisce di un dibattito esilarante svoltosi a Londra. Argomento: quanto meglio vivremmo senza la religione. Protagonisti: “un vanitoso rottweiler di Charles Darwin, un pugile ateista che porta il figlio in vacanza nel Kurdistan iracheno e un apologeta dell’illuminismo ratzingeriano,” cioè, nell’ordine, Richard Dawkins, Christopher Hitchens e Roger Scruton. Ne è venuta fuori, secondo lo Spectator, che ha seguito l’evento, "una delle fiere del pensiero più entusiasmanti degli ultimi anni,” e in ogni caso “la dimostrazione che l’ateismo è la nuova religione.”
Consiglio vivamente la lettura del resoconto, con particolare riguardo non tanto alle tesi del filosofo di Princeton Roger Scruton, estimatore di Papa Ratzinger, quanto a quelle degli altri due relatori. A me le dimostrazioni a contrario son sempre garbate (sono le meno noiose ...), dunque parlo a ragion veduta: come diventare buoni (o migliori) credenti dopo aver ascoltato e soppesato attentamente le tesi dei denigratori della fede. Un esercizio di ginnastica mentale che più laico non si può.
L’altra occasione di fruire di una chiacchiera di lusso l’ha fornita Francesco Merlo su Repubblica. Lo scopo era quello di spezzare una lancia a favore di Angelo Bagnasco, minacciato di morte e dunque scortato dallo Stato. Un intento nobile, senza dubbio, anche se io—sempre per non annoiarsi—inviterei a cogliere e apprezzare come si merita soprattutto la qualità dell’apparato argomentativo.
Dunque, si tratta di questo: bisogna che un po’ tutti ci teniamo stretti i nostri preti,
[p]ersino noi che nel Papa tedesco e nell"'imam" Ruini più che un anelito e un profumo di cielo annusiamo un gran puzzo di inferno; anche noi insomma che nella chiesa che manda in piazza i suoi preti contro i gay vediamo balenare non il buon Dio ma un "Diaccio" senza la grazia, sospettoso e diffidente a tal punto verso le sue creature da essere quasi contento di coglierle in fallo e dannarle senza misericordia.
È vero che c'è nel neo tradizionalismo populista del Vaticano, e nello zelo savonarolesco dei vescovi italiani un'insicurezza di se stessi da cui chi crede veramente dovrebbe essere al riparo. Ma in fondo è una paura, è una debolezza, è una povertà di spirito che possono persino intenerirci se paragoniamo questi nostri monsignori, diventati, anche fisicamente, così incerti, così dispeptici, e tutti politicamente un po' torbidi, a quelle orribili stelle a cinque punte e alla sigla Br che, per la prima volta nella storia italiana, sono state rivolte contro di loro e contro il Papa.
Bontà sua, nobile Merlo. Prendiamo atto delle buone intenzioni e dello sforzo che deve essergli costato questo endorsement. Ma più di tutto registriamo il pronunciamento a favore del prete italiano:
Il fatto è che, a dispetto della sbandata integralista della Cei, noi laici crediamo davvero nella nobiltà dei preti italiani, nella loro generosità, persino nelle loro capacità visionarie e nelle loro intemperanze, insomma nella superlevitazione della religione, nel suo stare sopra e mai contro: sopra i conflitti e i luoghi comuni, sopra i gusti sessuali e le tensioni sociali; la religione come lingua viva che non si trova nei mille libroni di teologia tedesca e neppure nelle scuole di pensiero dei banchieri tomisti, che sono un'altra bizzarria nazionale.
E che sia chiara una cosa:
[N]on è vero che questi vescovi dalle gote incavate hanno soffocato il sanguigno don Camillo, il mantello del ricco tagliato in due e diviso con il povero, l'amore per tutto ciò che è naturale e non è arzigogolio teologico, il prete antiideologico che ha registrato la nostra storia nazionale, il prete italiano a cui ricorrevano comunisti e conservatori, ricchi e poveri, miscredenti e baciapile, un prete bonario e ricco di saggezza di mondo, al di sopra dei partiti e delle classi.
Ora, davvero c’è di che essere commossi da tanto trasporto. Tuttavia, un piccolo dubbio mi permetterei di sollevarlo, non per intento polemico ma, se è lecito, pro veritate. Sì, perché …, ehm, il fatto è che quello “stare sopra e mai contro,” e quel che segue, ammesso e non concesso che sia stata la cifra del clero italico, a dispetto (forse) dei “libroni di teologia tedesca,” non è mica tanto evangelico. Perché, alla fin fine, mi pare di ricordare che Lui, il Capo, il Fondatore, abbia asserito di essere venuto “a portare la spada” esortando nel contempo i Suoi, onde evitare spiacevoli equivoci, ad essere “nel” mondo senza essere “del” mondo, e cose di questo genere.
La morale della favola, insomma, potrebbe essere questa: non occorre essere cristiani per apprezzare e amare i preti, e non è necessario che i sacerdoti siano particolarmente fedeli a se stessi e alla propria missione per essere lodati dai laicisti. Sul primo punto si prende atto con soddisfazione. Sul secondo si dissente rispettosamente. Gli atei devoti vanno benissimo, i preti buontemponi un po’ meno. Ma si fa per dire. In fondo si chiacchierava e basta.
April 11, 2007
L'ultimo spenga la luce
Qualche appunto frettoloso su una vicenda complicata di cui si preferirebbe tacere, ma non si può.
Quelli di Emergency cominciano a lasciare Kabul e a tornarsene a casa. Brutta, bruttissima storia, quella della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. Tanto che parecchi non si erano uniti al coro di esultanza nel momento in cui, tuttavia, c’era almeno una buona ragione per esultare. E questo, appunto, non perché la notizia del ritorno a casa, sano e salvo, del giornalista di Repubblica non fosse una buona notizia, ma per il modo e le circostanze, come persino il ministro della Difesa, Parisi, aveva denunciato (anche) con eloquenti silenzi. E che Gino Strada, a tanti, tra i quali, si parva licet, lo scrivente, non sia mai stato simpatico, non c’entra nulla. C’entra, semmai, il fatto che non si doveva affidare, o meglio delegare, ad uno come lui una missione come quella.
Adesso tira una brutta aria per Ponzio Pilato-Prodi. Ma chi si illudeva che avessimo a che fare con uno statista o, quanto meno, con un ex democristiano di prima fila? Era di seconda o terza, e questi sono i risultati. Non un De Gasperi, ovviamente, e neppure un Moro, un Fanfani, un Andreotti, un De Mita e via discorrendo, solo uno che si è occupato di gestire, per conto della Dc, un settore della politica—sia pur delicato e strategico—di cui né uno statista vero né un “cavallo di razza” si sarebbero mai occupati a tempo pieno. Ha usato Gino Strada, dandogli addirittura carta bianca? Certo, perché non è un’aquila, come si suol dire. In Europa lo sapevano tutti—e chi ha la dannata abitudine di leggere alcuni grandi giornali d’oltremanica (e non solo) era al corrente dello scarso credito di cui godeva il Professore. Solo un po’ di italiani, e tutti della rive gauche, hanno creduto o hanno fatto finta di credere che l’uomo fosse all’altezza. Purtroppo per loro, e per noi tutti.
Berlusconi, in compenso, ha colto l’opportunità di impartirgli una lezione di stile che, per quanto interpretabile anche come un abile calcolo (stiamo parlando di politica, dopotutto), resterà memorabile. Del resto, non occorre essere berlusconiani per capirlo: la differenza di statura politica tra i due è evidente anche senza bisogno di vedere nel Cavaliere un nuovo De Gasperi.
Gino Strada, dal canto suo, avrà qualche spiegazione da dare e forse ne uscirà malissimo anche lui, ma ha avuto se non altro il merito di mettere il dito sulla piaga. Che cadano entrambi, comunque, ciascuno a modo suo, non è solo probabile: è un auspicio che formulo ab imo pectore. Per il bene di questo Paese, oserei dire parafrasando il Cavaliere—che però è stato più generoso del sottoscritto, il quale, tuttavia, non ha l’obbligo di comportarsi come un politico ... Che vadano, dunque, tutti e due. E che l'ultimo, possibilmente, spenga la luce.
Adesso tira una brutta aria per Ponzio Pilato-Prodi. Ma chi si illudeva che avessimo a che fare con uno statista o, quanto meno, con un ex democristiano di prima fila? Era di seconda o terza, e questi sono i risultati. Non un De Gasperi, ovviamente, e neppure un Moro, un Fanfani, un Andreotti, un De Mita e via discorrendo, solo uno che si è occupato di gestire, per conto della Dc, un settore della politica—sia pur delicato e strategico—di cui né uno statista vero né un “cavallo di razza” si sarebbero mai occupati a tempo pieno. Ha usato Gino Strada, dandogli addirittura carta bianca? Certo, perché non è un’aquila, come si suol dire. In Europa lo sapevano tutti—e chi ha la dannata abitudine di leggere alcuni grandi giornali d’oltremanica (e non solo) era al corrente dello scarso credito di cui godeva il Professore. Solo un po’ di italiani, e tutti della rive gauche, hanno creduto o hanno fatto finta di credere che l’uomo fosse all’altezza. Purtroppo per loro, e per noi tutti.
Berlusconi, in compenso, ha colto l’opportunità di impartirgli una lezione di stile che, per quanto interpretabile anche come un abile calcolo (stiamo parlando di politica, dopotutto), resterà memorabile. Del resto, non occorre essere berlusconiani per capirlo: la differenza di statura politica tra i due è evidente anche senza bisogno di vedere nel Cavaliere un nuovo De Gasperi.
Gino Strada, dal canto suo, avrà qualche spiegazione da dare e forse ne uscirà malissimo anche lui, ma ha avuto se non altro il merito di mettere il dito sulla piaga. Che cadano entrambi, comunque, ciascuno a modo suo, non è solo probabile: è un auspicio che formulo ab imo pectore. Per il bene di questo Paese, oserei dire parafrasando il Cavaliere—che però è stato più generoso del sottoscritto, il quale, tuttavia, non ha l’obbligo di comportarsi come un politico ... Che vadano, dunque, tutti e due. E che l'ultimo, possibilmente, spenga la luce.
April 8, 2007
April 5, 2007
Lectio Divina
As the Ecclesiastes says, there is an appointed time for everything. The days of Holy Week are very suitable to be used as a time for reflection, for prayer and for meditation. Or, better still, these days would be suitable for such activities (or non-activities), but in fact there are often a lot of other activities that distract people from taking the time to take that time. So this post is an attempt to overturn that trend by singing Lectio Divina’s praises.
This ancient spiritual art—which has been kept alive in the Christian monastic, mostly Benedictine, tradition, and which is being rediscovered in our day—is a kind of meditative reading/listening, a slow, contemplative praying of the Scriptures, aimed at giving the monk an awareness of God's presence, a consciousness of the immersion of his life in the mystery of God's activity as revealed in sacred history.
The art of lectio divina—writes Fr. Luke Dysinger, a Benedictine monk—begins with cultivating the ability
There are three other steps of lectio divina: Meditatio, Oratio, Contemplatio, even though, as Trappist monk Fr. Vincent Dwyer complains, “for a long time in the Church they were not four distinct parts, they were one.” In addition, according to him, we did a poor job at translation, to begin with lectio divina itself, translated into 'spiritual reading,' that is “a particular exercise,” instead of the sublime art of listening (and notwithstanding the fact that in the early Church most people couldn't read …). Meditatio, in turn, was translated into 'meditation,' which became “a procedure, a methodology of prayer,” while Oratio became translated into “all kinds of prayers and devotions, divine office, and so forth,” and Contemplatio was translated as 'contemplation,'
But this is a heresy. We are all called to contemplation, that is
And what about Meditatio and Oratio?
Fr. Luke Dysinger is in the same wavelength:
Spending time with God through the medium of His word. So, let’s take the time to take that time.
Multimedia help:
> Three Benedictine monks from the monastery in Norcia, Italy, talk about lectio divina—its purpose, importance and relevance in the Church today.
> Liturgy (Gregorian chant) from the monastery in Norcia, Italy:
This ancient spiritual art—which has been kept alive in the Christian monastic, mostly Benedictine, tradition, and which is being rediscovered in our day—is a kind of meditative reading/listening, a slow, contemplative praying of the Scriptures, aimed at giving the monk an awareness of God's presence, a consciousness of the immersion of his life in the mystery of God's activity as revealed in sacred history.
The art of lectio divina—writes Fr. Luke Dysinger, a Benedictine monk—begins with cultivating the ability
to listen deeply, to hear “with the ear of our hearts” as St. Benedict encourages us in the Prologue to the Rule. When we read the Scriptures we should try to imitate the prophet Elijah. We should allow ourselves to become women and men who are able to listen for the still, small voice of God (I Kings 19:12); the “faint murmuring sound” which is God's word for us, God's voice touching our hearts. This gentle listening is an “atunement” to the presence of God in that special part of God's creation which is the Scriptures.
The cry of the prophets to ancient Israel was the joy-filled command to “Listen!” “Sh'ma Israel: Hear, O Israel!” In lectio divina we, too, heed that command and turn to the Scriptures, knowing that we must “hear” - listen - to the voice of God, which often speaks very softly. In order to hear someone speaking softly we must learn to be silent. We must learn to love silence. If we are constantly speaking or if we are surrounded with noise, we cannot hear gentle sounds. The practice of lectio divina, therefore, requires that we first quiet down in order to hear God's word to us. This is the first step of lectio divina, appropriately called lectio - reading.
There are three other steps of lectio divina: Meditatio, Oratio, Contemplatio, even though, as Trappist monk Fr. Vincent Dwyer complains, “for a long time in the Church they were not four distinct parts, they were one.” In addition, according to him, we did a poor job at translation, to begin with lectio divina itself, translated into 'spiritual reading,' that is “a particular exercise,” instead of the sublime art of listening (and notwithstanding the fact that in the early Church most people couldn't read …). Meditatio, in turn, was translated into 'meditation,' which became “a procedure, a methodology of prayer,” while Oratio became translated into “all kinds of prayers and devotions, divine office, and so forth,” and Contemplatio was translated as 'contemplation,'
and then you were told, "But contemplation is only for chosen souls like myself and others who are called to contemplative monasteries. The rest of you poor people are called only to meditate and that is the way it is. Too bad. Some are chosen, some aren't."
But this is a heresy. We are all called to contemplation, that is
a direct and natural sequential development of having listened. And it was receiving the gifts of the Spirit and being able to taste and to know what it is to operate under the Spirit's influence, which in the old days we called the gifts of the Holy Spirit.
And what about Meditatio and Oratio?
Meditatio was not a procedural method. It was merely a presence, a presence which from listening brought about reflection, to the point that when you listen, infallibly you reflect. It just flows.
Oratio wasn't meant to be all these things that we made it be. Oratio was really when you reflected you then found yourself moving towards prayer of petition, prayer of thanksgiving, silence, awe, anything that would move you. It was ability to allow oneself to move from reflection. And infallibly the Spirit would move you.
Fr. Luke Dysinger is in the same wavelength:
How different this ancient understanding is from our modern approach! Instead of recognizing that we all gently oscillate back and forth between spiritual activity and receptivity, between practice and contemplation, we today tend to set contemplation before ourselves as a goal - something we imagine we can achieve through some spiritual technique. We must be willing to sacrifice our “goal-oriented” approach if we are to practice lectio divina, because lectio divina has no other goal than spending time with God through the medium of His word.
Spending time with God through the medium of His word. So, let’s take the time to take that time.
Multimedia help:
> Three Benedictine monks from the monastery in Norcia, Italy, talk about lectio divina—its purpose, importance and relevance in the Church today.
> Liturgy (Gregorian chant) from the monastery in Norcia, Italy:
April 4, 2007
Telecom Italia a stelle e strisce
Telecom Italia agli americani? A me l’idea non dispiacerebbe neanche un po', ma capisco—senza adeguarmi—chi la pensa diversamente e fa più o meno questo ragionamento:
Mica scemi, giustamente. Il resto è qui (attenti, però, al fastidioso—ma abbastanza innocuo—Trojan Horse che in questi giorni “si attacca” a chi visita l'incolpevole blog). Nel frattempo, guarda un po', rispunta l'ipotesi Deutsche Telekom. Comunque, su 1972 e La Pulce di Voltaire ci si può fare una cultura sui conflitti tra (vere o presunte) “sovranità nazionali” da difendere e interpretazioni (talvolta strumentali ) del liberismo economico.
Un’impresa di stampo americano, poco avvezza alle tecniche economiche dei «furbetti del quartierino» nostrani, quindi portatrice di regole, sempre all’interno delle logiche di mercato, naturalmente – non dei benefattori – rischierebbe di introdurre in Italia delle cattive abitudini, come il rispetto dei consumatori, delle regole, della buona amministrazione e via dicendo.
Mica scemi, giustamente. Il resto è qui (attenti, però, al fastidioso—ma abbastanza innocuo—Trojan Horse che in questi giorni “si attacca” a chi visita l'incolpevole blog). Nel frattempo, guarda un po', rispunta l'ipotesi Deutsche Telekom. Comunque, su 1972 e La Pulce di Voltaire ci si può fare una cultura sui conflitti tra (vere o presunte) “sovranità nazionali” da difendere e interpretazioni (talvolta strumentali ) del liberismo economico.
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