Ma non bisogna farsi troppe illusioni neppure in ordine ai massimi sistemi, che ultimamente sembrano subire una sorte analoga a quella della realtà effettuale: facilissimo essere sopraffatti da quell’equivalente del politicismo, in altri contesti, che è la vecchia, ipercollaudata «chiacchiera».
Dunque, primavera o non primavera, è sempre meno frequente imbattersi nelle occasioni mediatiche più propizie a coltivare l‘otium. Uno, se proprio vuole, deve tagliarsi qualche ponte dietro le spalle e chiudersi nella propria biblioteca privata. Ma oggi non è giornata, e dunque rinvio la fuga dal mondo a data da destinarsi e attingo alla stampa quotidiana, che offre due superbe occasioni di … chiacchiera. Della prima è responsabile Il Foglio, che in un editoriale riferisce di un dibattito esilarante svoltosi a Londra. Argomento: quanto meglio vivremmo senza la religione. Protagonisti: “un vanitoso rottweiler di Charles Darwin, un pugile ateista che porta il figlio in vacanza nel Kurdistan iracheno e un apologeta dell’illuminismo ratzingeriano,” cioè, nell’ordine, Richard Dawkins, Christopher Hitchens e Roger Scruton. Ne è venuta fuori, secondo lo Spectator, che ha seguito l’evento, "una delle fiere del pensiero più entusiasmanti degli ultimi anni,” e in ogni caso “la dimostrazione che l’ateismo è la nuova religione.”
Consiglio vivamente la lettura del resoconto, con particolare riguardo non tanto alle tesi del filosofo di Princeton Roger Scruton, estimatore di Papa Ratzinger, quanto a quelle degli altri due relatori. A me le dimostrazioni a contrario son sempre garbate (sono le meno noiose ...), dunque parlo a ragion veduta: come diventare buoni (o migliori) credenti dopo aver ascoltato e soppesato attentamente le tesi dei denigratori della fede. Un esercizio di ginnastica mentale che più laico non si può.
L’altra occasione di fruire di una chiacchiera di lusso l’ha fornita Francesco Merlo su Repubblica. Lo scopo era quello di spezzare una lancia a favore di Angelo Bagnasco, minacciato di morte e dunque scortato dallo Stato. Un intento nobile, senza dubbio, anche se io—sempre per non annoiarsi—inviterei a cogliere e apprezzare come si merita soprattutto la qualità dell’apparato argomentativo.
Dunque, si tratta di questo: bisogna che un po’ tutti ci teniamo stretti i nostri preti,
[p]ersino noi che nel Papa tedesco e nell"'imam" Ruini più che un anelito e un profumo di cielo annusiamo un gran puzzo di inferno; anche noi insomma che nella chiesa che manda in piazza i suoi preti contro i gay vediamo balenare non il buon Dio ma un "Diaccio" senza la grazia, sospettoso e diffidente a tal punto verso le sue creature da essere quasi contento di coglierle in fallo e dannarle senza misericordia.
È vero che c'è nel neo tradizionalismo populista del Vaticano, e nello zelo savonarolesco dei vescovi italiani un'insicurezza di se stessi da cui chi crede veramente dovrebbe essere al riparo. Ma in fondo è una paura, è una debolezza, è una povertà di spirito che possono persino intenerirci se paragoniamo questi nostri monsignori, diventati, anche fisicamente, così incerti, così dispeptici, e tutti politicamente un po' torbidi, a quelle orribili stelle a cinque punte e alla sigla Br che, per la prima volta nella storia italiana, sono state rivolte contro di loro e contro il Papa.
Bontà sua, nobile Merlo. Prendiamo atto delle buone intenzioni e dello sforzo che deve essergli costato questo endorsement. Ma più di tutto registriamo il pronunciamento a favore del prete italiano:
Il fatto è che, a dispetto della sbandata integralista della Cei, noi laici crediamo davvero nella nobiltà dei preti italiani, nella loro generosità, persino nelle loro capacità visionarie e nelle loro intemperanze, insomma nella superlevitazione della religione, nel suo stare sopra e mai contro: sopra i conflitti e i luoghi comuni, sopra i gusti sessuali e le tensioni sociali; la religione come lingua viva che non si trova nei mille libroni di teologia tedesca e neppure nelle scuole di pensiero dei banchieri tomisti, che sono un'altra bizzarria nazionale.
E che sia chiara una cosa:
[N]on è vero che questi vescovi dalle gote incavate hanno soffocato il sanguigno don Camillo, il mantello del ricco tagliato in due e diviso con il povero, l'amore per tutto ciò che è naturale e non è arzigogolio teologico, il prete antiideologico che ha registrato la nostra storia nazionale, il prete italiano a cui ricorrevano comunisti e conservatori, ricchi e poveri, miscredenti e baciapile, un prete bonario e ricco di saggezza di mondo, al di sopra dei partiti e delle classi.
Ora, davvero c’è di che essere commossi da tanto trasporto. Tuttavia, un piccolo dubbio mi permetterei di sollevarlo, non per intento polemico ma, se è lecito, pro veritate. Sì, perché …, ehm, il fatto è che quello “stare sopra e mai contro,” e quel che segue, ammesso e non concesso che sia stata la cifra del clero italico, a dispetto (forse) dei “libroni di teologia tedesca,” non è mica tanto evangelico. Perché, alla fin fine, mi pare di ricordare che Lui, il Capo, il Fondatore, abbia asserito di essere venuto “a portare la spada” esortando nel contempo i Suoi, onde evitare spiacevoli equivoci, ad essere “nel” mondo senza essere “del” mondo, e cose di questo genere.
La morale della favola, insomma, potrebbe essere questa: non occorre essere cristiani per apprezzare e amare i preti, e non è necessario che i sacerdoti siano particolarmente fedeli a se stessi e alla propria missione per essere lodati dai laicisti. Sul primo punto si prende atto con soddisfazione. Sul secondo si dissente rispettosamente. Gli atei devoti vanno benissimo, i preti buontemponi un po’ meno. Ma si fa per dire. In fondo si chiacchierava e basta.
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