Irish singer and songwriter Enya (born Eithne Ní Bhraonáin), whose soothing, angelic voice is one of the most celebrated in the world, achieved a breakthrough in her career in 1988 with the album Watermark, which featured Enya's first hit, “Orinoco Flow.” The song, sometimes known as “Sail Away” (it is actually just about the dream of travelling the world freely), was first released as a single after getting airplay on The Steve Wright Show on BBC Radio One, and topped the charts in the United Kingdom. The album, in turn, sold eight million copies. The song also received increased popularity … after featuring in a US commercial for car maker Volkswagen.
The title of the song refers to the London studio in which it was recorded, rather than the Venezuelan river Orinoco (one of the longest rivers in South America), although it is likely a deliberate dual reference. As reported in the little book included with the box set of Only Time: The Collection, there was a sense of discovery in the creating of Watermark, “a sense of beginning, a sense of something new and exciting. "Orinoco Flow" reflects the feeling of that time for us - adventure!”
Recently the group Celtic Woman has resurrected this song with their own arrangement. Here in the You Tube video—a very recent and unique one!—is a comparison of the original “Orinoco Flow” (music video) by Enya and the version sung by Celtic Woman. Who sung it better? You decide!
September 30, 2007
September 29, 2007
September 28, 2007
Monaci guerrieri per la libertà
Perbacco, uno non fa in tempo a compiacersi perché a Otto e mezzo ha ascoltato una persona giovane, intelligente e preparata, nonché dall’eloquio brillante e al contempo pacato, ed ecco che sul Foglio il tizio in questione viene interpellato sulla rivoluzione dei monaci in Birmania e ti butta giù un articoletto che, se non lo avesse scritto, oggi saremmo un po’ più ignoranti e molto più confusi di fronte alla singolarità—con tutti i suoi risvolti drammatici—dell’evento di cui il mondo, o meglio ancora l’Occidente, è l’interdetto testimone.
Ci domandiamo, dall’alto della nostra gloriosa secolarizzazione,
E per lo più non ci aspettiamo che la vecchia storia del «male minore» valga anche per i monaci buddisti, o che “la morale primaria del «non uccidere una vita»” possa autorizzare, anzi, possa consigliare di battersi contro gli assassini “con tenacia guerriera” e, nel contempo, “impersonalità sacerdotale.” Ed ecco che Alessandro Giuli ci ricorda che il Buddha stesso discendeva da una casta guerriera, quella dei kshatrya. E che “fu proprio lui, in un’incarnazione precedente, a uccidere un uomo per impedirgli di massacrarne cinquecento.”
E poi ci sono storie antiche e bellissime, come quella dell’ aspirante discepolo che una notte
Storie di un altro mondo, senza dubbio, ma un mondo che un tempo fu anche il nostro, perché—come avrebbe potuto ricordarci il nostro opinionista nonché lettore di Evola (e Guénon, suppongo), se solo avesse avuto più spazio—la Tradizione è una, sia pure con le sue molteplici incarnazioni e le sue infinite sfaccettature. Storie di un Oriente che ha prodotto, sul côté induistico, la Bhagavad-gita (Canto del Beato), il capitolo più famoso e amato del Mahābhārata e l'essenza stessa della conoscenza vedica. Dove ad Arjuna, l’eroe, è Krishna a rammentare i suoi doveri di kshatrya—e la sua via verso l’immortalità—nel momento che precede l'inizio di una guerra orribile. L’eroe si è lasciato prendere dallo sconforto, non se la sente di combattere. E Krishna gli spiega come superare la terribile impasse, cioè come liberarsi, pur agendo, “dai legami dell’azione,” vale a dire il “metodo dell'azione compiuta senza attaccamento al risultato” …
Ecco, forse anche di questo ci avrebbe fatto omaggio Alessandro Giuli se il Direttore gli avesse concesso un’intera pagina. Sarà per un’altra volta? Per il momento accontentiamoci di questa conclusione, che svela definitivamente l’arcano e impartisce una lezione memorabile a tutti i Christopher Hitchens di questo mondo:
Ci domandiamo, dall’alto della nostra gloriosa secolarizzazione,
come sia possibile che i seguaci del Pacifico Buddha scommettano sulla liberazione di un popolo anziché perdersi nella rarefazione del Nirvana, nella ricchezza di un vuoto assoluto così distante dall’umano.
E per lo più non ci aspettiamo che la vecchia storia del «male minore» valga anche per i monaci buddisti, o che “la morale primaria del «non uccidere una vita»” possa autorizzare, anzi, possa consigliare di battersi contro gli assassini “con tenacia guerriera” e, nel contempo, “impersonalità sacerdotale.” Ed ecco che Alessandro Giuli ci ricorda che il Buddha stesso discendeva da una casta guerriera, quella dei kshatrya. E che “fu proprio lui, in un’incarnazione precedente, a uccidere un uomo per impedirgli di massacrarne cinquecento.”
E poi ci sono storie antiche e bellissime, come quella dell’ aspirante discepolo che una notte
andò a bussare con gentilezza alla casa di un altro maestro e per una due tre volte venne respinto con la porta schiacciata sul viso; finché alla quarta, senza dire una parola, decise di centrare con un pugno il muso del maestro e fu così ricevuto. L’ardore marziale nell’agire senza agire.
Storie di un altro mondo, senza dubbio, ma un mondo che un tempo fu anche il nostro, perché—come avrebbe potuto ricordarci il nostro opinionista nonché lettore di Evola (e Guénon, suppongo), se solo avesse avuto più spazio—la Tradizione è una, sia pure con le sue molteplici incarnazioni e le sue infinite sfaccettature. Storie di un Oriente che ha prodotto, sul côté induistico, la Bhagavad-gita (Canto del Beato), il capitolo più famoso e amato del Mahābhārata e l'essenza stessa della conoscenza vedica. Dove ad Arjuna, l’eroe, è Krishna a rammentare i suoi doveri di kshatrya—e la sua via verso l’immortalità—nel momento che precede l'inizio di una guerra orribile. L’eroe si è lasciato prendere dallo sconforto, non se la sente di combattere. E Krishna gli spiega come superare la terribile impasse, cioè come liberarsi, pur agendo, “dai legami dell’azione,” vale a dire il “metodo dell'azione compiuta senza attaccamento al risultato” …
Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o guadagno, vittoria o sconfitta — così facendo non incorrerai mai nel peccato. [2, 38]
Ecco, forse anche di questo ci avrebbe fatto omaggio Alessandro Giuli se il Direttore gli avesse concesso un’intera pagina. Sarà per un’altra volta? Per il momento accontentiamoci di questa conclusione, che svela definitivamente l’arcano e impartisce una lezione memorabile a tutti i Christopher Hitchens di questo mondo:
Il perfetto buddista è il risultato di un ardore marziale nella propria misura e attivo nella propria immobilità. Perciò può scegliere di marciare incolonnato ai fratelli in abito purpureo, sotto la pioggia calda di Rangoon e sotto i manganelli dei salariati in divisa militare. Il suo semplice esserci è un atto rivoluzionario, il suo resistere (anche proteggendo con il corpo gli altri manifestanti) è un agire-senza-agire che diserta il moto accessorio per concentrarsi sull’essenziale. La libertà è l’essenziale. Anche in Birmania.
September 25, 2007
Un mantra per la Birmania (updated)
UPDATE - Sep 26, 2007 - 10:30 am
1. YANGON (Reuters) - Circa 5.000 monaci e civili stanno marciando verso il centro della capitale dell'ex Birmania, Yangon, sfidando i soldati e la polizia dispiegati nella città in assetto anti-sommossa.
[Leggi il resto]
2. YANGON (Corriere della Sera) Scatta la repressione della giunta - Continua a crescere la tensione in Birmania e secondo le ultime notizie l'attesa repressione di soldati e polizia ha fatto la prima vittima: un monaco è stato ucciso dagli spari dei militari dell'esercito birmano, che ha tentato di disperdere la protesta pacifica nelle strade birmane. Lo hanno riferito la stampa e testimoni locali.
[Leggi il resto]
__________________
Pregate per la Birmania, sintetizza oggi Enzo Reale sul suo blog “generalista,” mentre su quello specialistico, di quel lontano e sfortunato Paese si è occupato nei giorni scorsi con una serie formidabile di post che tutti coloro i quali vogliono capire qualcosa di quello che sta succedendo e del come e perché si sia arrivati a questo punto dovrebbero leggere. Non ci sarebbe altro da aggiungere (all’appello di Enzo e ai suoi post), sennonché, per dare ai giornali quel che è dei giornali, suggerisco di leggere un ricchissimo e toccante articolo di Bernardo Valli su la Repubblica e l’intervista di Giordano Stabile, su La Stampa, al primo ministro del governo democratico in esilio della Birmania, Sein Win.
Quest’ultimo, nominato dopo la straripante vittoria della lista guidata dal premio Nobel per la pace (1991) Aung San Suu Kyi (nella foto sopra) nelle elezioni tenutesi nel lontano 1990—le uniche concesse dalla giunta militare che aveva preso il potere ventotto anni prima—sfuggì per miracolo alle epurazioni messe in atto dai generali, e riparò negli Stati Uniti, da dove oggi guida l'opposizione in esilio. E’ ottimista, Sein Win: «E’ la volta buona», dice, «ma la comunità internazionale deve portare al massimo livello le pressioni sulla giunta». Alla domanda sul perché la leadership del movimento sia stata assunta dai religiosi, risponde così:
Su questo blog, da sempre sensibile alla causa del Tibet, le parole di Sein Win non suonano nuove. Sì, pregare per la Birmania assieme ai suoi monaci e a tutto il suo popolo è cosa buona e giusta. Ma pretendere che l’Occidente faccia la sua parte anche per altre vie non lo è meno. George W. Bush e Gordon Brown—ancora e sempre Stati Uniti e Gran Bretagna!—sembra che ne siano perfettamente consapevoli. Enzo, però, che qualche momento fa ha aggiornato il post già linkato sopra, alla luce delle ultimissime notizie, è molto, molto preoccupato (e ne ha ben donde). Speriamo bene.
1. YANGON (Reuters) - Circa 5.000 monaci e civili stanno marciando verso il centro della capitale dell'ex Birmania, Yangon, sfidando i soldati e la polizia dispiegati nella città in assetto anti-sommossa.
[Leggi il resto]
2. YANGON (Corriere della Sera) Scatta la repressione della giunta - Continua a crescere la tensione in Birmania e secondo le ultime notizie l'attesa repressione di soldati e polizia ha fatto la prima vittima: un monaco è stato ucciso dagli spari dei militari dell'esercito birmano, che ha tentato di disperdere la protesta pacifica nelle strade birmane. Lo hanno riferito la stampa e testimoni locali.
[Leggi il resto]
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Pregate per la Birmania, sintetizza oggi Enzo Reale sul suo blog “generalista,” mentre su quello specialistico, di quel lontano e sfortunato Paese si è occupato nei giorni scorsi con una serie formidabile di post che tutti coloro i quali vogliono capire qualcosa di quello che sta succedendo e del come e perché si sia arrivati a questo punto dovrebbero leggere. Non ci sarebbe altro da aggiungere (all’appello di Enzo e ai suoi post), sennonché, per dare ai giornali quel che è dei giornali, suggerisco di leggere un ricchissimo e toccante articolo di Bernardo Valli su la Repubblica e l’intervista di Giordano Stabile, su La Stampa, al primo ministro del governo democratico in esilio della Birmania, Sein Win.
Quest’ultimo, nominato dopo la straripante vittoria della lista guidata dal premio Nobel per la pace (1991) Aung San Suu Kyi (nella foto sopra) nelle elezioni tenutesi nel lontano 1990—le uniche concesse dalla giunta militare che aveva preso il potere ventotto anni prima—sfuggì per miracolo alle epurazioni messe in atto dai generali, e riparò negli Stati Uniti, da dove oggi guida l'opposizione in esilio. E’ ottimista, Sein Win: «E’ la volta buona», dice, «ma la comunità internazionale deve portare al massimo livello le pressioni sulla giunta». Alla domanda sul perché la leadership del movimento sia stata assunta dai religiosi, risponde così:
«In Birmania il ruolo della religione buddhista è molto importante. I monaci vengono dal popolo e ascoltano il popolo, quotidianamente. Hanno capito che il popolo chiedeva loro di fare qualcosa e l'hanno fatto. Questo dimostra anche che i tentativi della giunta di manipolare la religione buddhista per i suoi scopi non hanno avuto molta presa».
Su questo blog, da sempre sensibile alla causa del Tibet, le parole di Sein Win non suonano nuove. Sì, pregare per la Birmania assieme ai suoi monaci e a tutto il suo popolo è cosa buona e giusta. Ma pretendere che l’Occidente faccia la sua parte anche per altre vie non lo è meno. George W. Bush e Gordon Brown—ancora e sempre Stati Uniti e Gran Bretagna!—sembra che ne siano perfettamente consapevoli. Enzo, però, che qualche momento fa ha aggiornato il post già linkato sopra, alla luce delle ultimissime notizie, è molto, molto preoccupato (e ne ha ben donde). Speriamo bene.
September 24, 2007
Fini e la destra tradita
Non per dare un colpo alla botte e uno al cerchio, ma stasera Giuliano Ferrara l’ho veramente apprezzato. O meglio, mi è piaciuto molto il suo Otto e mezzo. Beh, veramente, ad essere proprio sinceri, il merito è essenzialmente di Alessandro Giuli, che è stato ospite della trasmissione per parlare del suo libro, Il passo delle oche (Einaudi, pagg. 176, € 14.50), un pamphlet piuttosto severo, o meglio impietoso, su Gianfranco Fini e su tutto il gruppo dirigente di An.
Non sto a riassumere perché non sono un esperto delle cose di quel partito, dal quale, oltretutto, mi sento effettivamente un po’ troppo lontano. Tra qualche ora, comunque, chi l’avesse persa potrà trovare qui il video della trasmissione, che il lunedì è pure abbastanza breve. In due parole, comunque, la tesi di Giuli è che a destra non è difficile rintracciare l’ubi consistam di Bossi, di Casini e di Berlusconi, mentre quello di Fini è un po’ più problematico, anzi, stando all’Autore, non c’è proprio. Il che, si parva licet, collima perfettamente con l’impressione che ne ho io, e questo ovviamente non mi dispiace.
Giuli, comunque, ha un'altra cosetta cosa in comune con me: ha letto Evola. Sicuramente meglio e più approfonditamente di me, è chiaro, anche perché, in materia di studi sulla cosiddetta “Tradizione,” al pensatore italiano ho sempre preferito il francese René Guénon, malgrado la difficoltà e, per certi aspetti, la dispersività—a mio modesto giudizio—del pensiero di quest’ultimo. Ebbene, dicevo, l’aver letto Julius Evola (solo due o tre delle sue opere maggiori) fa sì che, quando si parla di uno stile, di un «carattere» dell’uomo di destra, so a cosa ci si riferisce, ed anche se non condivido capisco che il ragionamento, al di là delle divergenze, ha una sua dignità culturale e, direi, anche una sua nobiltà, ammesso, beninteso, che sia possibile mettere tra parentesi, per seguire l’ipotesi di lavoro, le aberrazioni razzistiche ed antisemitiche di cui Evola si è macchiato. Per questo credo che Alessandro Giuli abbia ragioni da vendere, e che il suo disgusto (filosofico) per una destra che è mancata, innanzitutto, sul piano «spirituale» sia giustificato.
Dopodiché mi viene da pensare che, se Fini ha “tradito” la destra, o almeno la sua manifestazione italica, si può solo esserne felici. Da liberali, intendo. Insomma, meno male che l’ha capito, si potrebbe dire. Epperò, se le cose hanno preso questa direzione, non è che l’approdo sia quello che, appunto, sarebbe stato auspicabile da un punto di vista liberale (di destra). Vale a dire che c’è qualcosa di incompiuto, di non risolto, e questo più per calcolo opportunistico e debolezza culturale—le due cose si tengono, secondo Giuli—che per altro. L’esito, quindi, è di una mediocrità sconcertante. Paradigmatica, in definitiva, della crisi complessiva del sistema politico italiano.
Ferrara, credo, con questo Otto e mezzo si è quasi fatto perdonare. Ho detto quasi, attenzione …
Non sto a riassumere perché non sono un esperto delle cose di quel partito, dal quale, oltretutto, mi sento effettivamente un po’ troppo lontano. Tra qualche ora, comunque, chi l’avesse persa potrà trovare qui il video della trasmissione, che il lunedì è pure abbastanza breve. In due parole, comunque, la tesi di Giuli è che a destra non è difficile rintracciare l’ubi consistam di Bossi, di Casini e di Berlusconi, mentre quello di Fini è un po’ più problematico, anzi, stando all’Autore, non c’è proprio. Il che, si parva licet, collima perfettamente con l’impressione che ne ho io, e questo ovviamente non mi dispiace.
Giuli, comunque, ha un'altra cosetta cosa in comune con me: ha letto Evola. Sicuramente meglio e più approfonditamente di me, è chiaro, anche perché, in materia di studi sulla cosiddetta “Tradizione,” al pensatore italiano ho sempre preferito il francese René Guénon, malgrado la difficoltà e, per certi aspetti, la dispersività—a mio modesto giudizio—del pensiero di quest’ultimo. Ebbene, dicevo, l’aver letto Julius Evola (solo due o tre delle sue opere maggiori) fa sì che, quando si parla di uno stile, di un «carattere» dell’uomo di destra, so a cosa ci si riferisce, ed anche se non condivido capisco che il ragionamento, al di là delle divergenze, ha una sua dignità culturale e, direi, anche una sua nobiltà, ammesso, beninteso, che sia possibile mettere tra parentesi, per seguire l’ipotesi di lavoro, le aberrazioni razzistiche ed antisemitiche di cui Evola si è macchiato. Per questo credo che Alessandro Giuli abbia ragioni da vendere, e che il suo disgusto (filosofico) per una destra che è mancata, innanzitutto, sul piano «spirituale» sia giustificato.
Dopodiché mi viene da pensare che, se Fini ha “tradito” la destra, o almeno la sua manifestazione italica, si può solo esserne felici. Da liberali, intendo. Insomma, meno male che l’ha capito, si potrebbe dire. Epperò, se le cose hanno preso questa direzione, non è che l’approdo sia quello che, appunto, sarebbe stato auspicabile da un punto di vista liberale (di destra). Vale a dire che c’è qualcosa di incompiuto, di non risolto, e questo più per calcolo opportunistico e debolezza culturale—le due cose si tengono, secondo Giuli—che per altro. L’esito, quindi, è di una mediocrità sconcertante. Paradigmatica, in definitiva, della crisi complessiva del sistema politico italiano.
Ferrara, credo, con questo Otto e mezzo si è quasi fatto perdonare. Ho detto quasi, attenzione …
September 20, 2007
Non sparate sul Vate, please
Vabbè, Grillo sarà pure matto, sboccato e quant’altro, ma pure pericoloso no, non direi proprio. Banalità per banalità, si può rispondere che perniciosa, semmai, è la situazione che ha generato il grillismo, ovvero una classe politica men che mediocre, un’informazione attentissima alle beghe e alle congiure di palazzo ma distratta—o asservita, tremebonda, inadeguata, ecc., ecc.—sulle questioni serie. Il direttore del Tg2, insomma, che tuttavia ha il diritto di dire anche lui quello che pensa, o che gli piace pensare, sul Vate della Blogosfera ha esagerato, e Fini, per dire, ha fatto bene a ridimensionare, anche se alla mano tesa Grillo—l'ingrato, il malefico—ha purtroppo risposto in malo modo.
Mi spiace che anche Giuliano Ferrara si sia arruolato nell’esercito di liberazione nazionale dalla volgarità politica. Non lo capisco, o forse sì, ma non è da escludere che la sua sia una difesa d’ufficio, o che si sia sentito toccato per qualche viziaccio dal quale, facendo parte—malgré soi?—della categoria giornalistica, non potrebbe essere immune neppure se lo volesse: tutte le “caste” hanno le proprie regole, più o meno ferree, e i propri tabù.
In ogni caso, quello che il Vate ha dichiarato a Euronews (disponibili anche quattro video dell’intervista) sul «Tronchetto dell'infelicità», nonché su «destra e sinistra», informazione, Valium ecc., tutto è meno che volgarità gratuita, roba campata in aria o discorsi deliranti.
Non sarà, magari, che, a questo punto, è alle "caste" che conviene buttarla sull’offesa, in mancanza di argomenti più seri?
Non sarà, magari, che, a questo punto, è alle "caste" che conviene buttarla sull’offesa, in mancanza di argomenti più seri?
September 18, 2007
Scherzi da prete
Ieri ne hanno scritto in maniera persuasiva—chi più chi meno—alcune delle penne più brillanti della carta stampata (ad esempio l’ottimo Riccardo Barenghi, Paolo Franchi e Renzo Foa), ed oggi lo hanno fatto egregiamente Vittorio Feltri e Antonio Socci su Libero e Luca Ricolfi su La Stampa. Magari con un certo imbarazzo, dato che si tratta di qualcosa di effettivamente nuovo e, sotto vari aspetti, spiazzante. Penso che valga la pena di leggere attentamente e di meditare, ma qui, contrariamente al mio costume, non ne terrò conto, perché quel che mi intriga di più nella storia del Grande Annuncio di Beppe Grillo è un risvolto che non mi sembra sia stato colto (a parte, in qualche modo, quel bastian contrario del Barenghi).
Andiamo con ordine. Dunque, Grillo ha sorpreso tutti, in particolare il “suo” popolo, che in gran parte tutto si aspettava, almeno così credo, meno che il proclama di cui sopra. Perché lui, fino a poche ore fa, era soltanto un capo virtuale, in maniera consona al suo personaggio di sempre, mentre adesso si propone ufficialmente per un ruolo di protagonista della vita politica nazionale, e questo sia che faccia la sua “discesa in campo” direttamente, come in passato Berlusconi e Di Pietro, sia che voglia limitarsi a fare il coordinatore dall’esterno di un movimento con proprie liste alle prossime amministrative.
La svolta, voglio dire, ha messo nei guai non tanto e non solo la classe politica, ma in primo luogo la gente che lo ha seguito finora: adesso, se si tirano indietro, sono—detto senza offesa—un tantino poco seri. Ora, o ci si candida o si fa una magra, perché sottrarsi al dovere civico di battersi concretamente, in prima persona e dunque con sacrificio personale, per ciò in cui si crede, quando ne viene offerta la possibilità, toglie semplicemente il diritto di lamentarsi. Bella fregatura per chi del piagnisteo ha fatto un costume di vita e dell’indignazione una professione (anche soltanto part-time, perché quando uno tiene famiglia, si sa, qualche compromesso bisogna mandarlo giù). Il fatto è che, solitamente, alla gente non è che avanzi tanto tempo e voglia di sbattersi con la politica attiva, che come è noto a chi l’ha bazzicata un po’ ti succhia il sangue e quel che concede a pochissimi che arrivano ai vertici, sia pure a livello locale, lo toglie ai numerosissimi che si sbattono e basta. Perché va bene prendersela con “la casta,” ma, appunto, c’è anche gente, e non è poca, che fa politica senza altra soddisfazione che quella di aver servito una causa che ne valesse la pena.
Anche soltanto per questo, cioè per aver messo con le spalle al muro qualche centinaio di migliaia di delusi e amareggiati virtuali, Grillo meriterebbe un premio, e a darglielo dovrebbero essere proprio i tanto vituperati partiti: dopo averli delegittimati moralmente ricoprendoli di insulti, li ha riscattati facendosi egli stesso partito e costringendo i suoi fans ad assumersi delle responsabilità, pena la perdita di dignità e credibilità personale. Bello scherzetto da prete, e del resto l’insigne blogger che altro è se non il Savonarola della blogosfera?
Certo, a questo punto un rischio lo corre anche lui, ed è il peggiore per un uomo di spettacolo. La politica logora (sempre) chi la fa e disgusta (novantanove volte su cento) chi la subisce. I fischi del pubblico pagante sono praticamente quasi una certezza.
Andiamo con ordine. Dunque, Grillo ha sorpreso tutti, in particolare il “suo” popolo, che in gran parte tutto si aspettava, almeno così credo, meno che il proclama di cui sopra. Perché lui, fino a poche ore fa, era soltanto un capo virtuale, in maniera consona al suo personaggio di sempre, mentre adesso si propone ufficialmente per un ruolo di protagonista della vita politica nazionale, e questo sia che faccia la sua “discesa in campo” direttamente, come in passato Berlusconi e Di Pietro, sia che voglia limitarsi a fare il coordinatore dall’esterno di un movimento con proprie liste alle prossime amministrative.
La svolta, voglio dire, ha messo nei guai non tanto e non solo la classe politica, ma in primo luogo la gente che lo ha seguito finora: adesso, se si tirano indietro, sono—detto senza offesa—un tantino poco seri. Ora, o ci si candida o si fa una magra, perché sottrarsi al dovere civico di battersi concretamente, in prima persona e dunque con sacrificio personale, per ciò in cui si crede, quando ne viene offerta la possibilità, toglie semplicemente il diritto di lamentarsi. Bella fregatura per chi del piagnisteo ha fatto un costume di vita e dell’indignazione una professione (anche soltanto part-time, perché quando uno tiene famiglia, si sa, qualche compromesso bisogna mandarlo giù). Il fatto è che, solitamente, alla gente non è che avanzi tanto tempo e voglia di sbattersi con la politica attiva, che come è noto a chi l’ha bazzicata un po’ ti succhia il sangue e quel che concede a pochissimi che arrivano ai vertici, sia pure a livello locale, lo toglie ai numerosissimi che si sbattono e basta. Perché va bene prendersela con “la casta,” ma, appunto, c’è anche gente, e non è poca, che fa politica senza altra soddisfazione che quella di aver servito una causa che ne valesse la pena.
Anche soltanto per questo, cioè per aver messo con le spalle al muro qualche centinaio di migliaia di delusi e amareggiati virtuali, Grillo meriterebbe un premio, e a darglielo dovrebbero essere proprio i tanto vituperati partiti: dopo averli delegittimati moralmente ricoprendoli di insulti, li ha riscattati facendosi egli stesso partito e costringendo i suoi fans ad assumersi delle responsabilità, pena la perdita di dignità e credibilità personale. Bello scherzetto da prete, e del resto l’insigne blogger che altro è se non il Savonarola della blogosfera?
Certo, a questo punto un rischio lo corre anche lui, ed è il peggiore per un uomo di spettacolo. La politica logora (sempre) chi la fa e disgusta (novantanove volte su cento) chi la subisce. I fischi del pubblico pagante sono praticamente quasi una certezza.
September 13, 2007
11 settembre, a mente fredda
Sei anni (e due giorni) dall’11 settembre. Un riepiologo davvero utile, a mente fredda, un servizio agli smemorati (ce n'è tanti) e un buon vademecum per chi aveva già afferrato il nocciolo della questione.
September 12, 2007
Antipolitica? Ma va
Eh già, uno non si può distrarre più di tanto, sprofondando in dottissime letture o semplicemente passando il tempo a fare ciò che non ci si concede durante i mesi in cui la Summer Edition è ormai solo un ricordo: guardare la tv, i film e i telefilm per intenderci, ché i talk shows, quelli li si guarda tutto l’anno, incluso in pole l'Otto e mezzo ferraresco, che è il vero rimpianto dei mesi caldi. Sì, mettersi tranquilli per un po’ va bene, ma non prendiamocela troppo comoda. La giudice Forleo prima (e tuttora), Beppe Grillo poi (e chissà per quanto!), ed ecco che siamo in trappola: al lavoro, e senza perdere un secondo, la patria è in pericolo, i barbari alle porte. Siamo un Paese vivace, è proprio il caso di dirlo, persino un po’ prevedibile nella sua imprevedibilità, quindi, cari compagni d’arme, sempre in stato d’allerta e naso al vento.
Il fatto è, però, che una cosa è parlare della Forleo, che è una signora talmente ligia al dovere da ritrovarsi scarsamente dotata di sense of humour, e un’altra occuparsi del signor Grillo, che fa sbellicare dalle risate i nevrotici compulsivi di mezza Italia (confluiti nelle piazze cittadine a ciò allestite) ma lascia un po’ perplessa l’altra metà dell’uditorio (quella che in piazza ci va solo a passeggiare). Va bene, ma l’antipolitica, signori perplessi? Il rischio di una deriva qualunquistico-anarcoide con ricadute populistiche e potenzialmente autoritarie? Già, questo potrebbe essere il punto.
Ma più ci penso, più mi convinco che, se Grillo non mi piace, nel suo popolo convivono non solo spiriti sarcastici e istinti primordiali, non soltanto anime belle, ma anche potenziali spiriti schietti e leali servitori della res publica, risorse positive—e un qualche merito, bisogna riconoscerlo, deve avercelo anche l’insigne blogger che si è preso cura di loro, che se li è tirati su giorno dopo giorno, con pazienza e premura materna.
Parlando la lingua di chi si esprime per slogan, direi che una parte non indifferente del popolo grillesco si rende interprete di energie che finora sono rimaste fuori dai riflettori: un esercito di disincantati ex-di sinistra, ancora a metà del guado quanto a ricollocazione e dunque disponibili a qualunque avventura, purché solo virtuale, beninteso. Odiano i partiti, vogliono distruggerli, ma attenzione, questa è “pura rappresentazione,” e colla rappresentanza, ovviamente, non c’entra nulla. Chissenefrega di cosa mettere al posto, tanto mica si fa sul serio, that’s entertainment, old sport.
Ma, un attimo, tutto questo non significa che non ci sia costrutto. Il bandolo c’è, eccome. E’ che quelle richieste tanto campate in aria non sono, A gente che è già stata disincantata dalla militanza politica, e soprattutto che non ha l’età sessantottarda dei girotondisti (diciamo “oltre” vent’anni di meno) le favolette ideologiche non le racconti più: richiedono precisamente ed esclusivamente di non essere presi in giro e vogliono vedere che carte ha in mano il Potere, il tutto a suon di Vaffa … e per il tramite di infiniti sberleffi, capriole e mangiatori di fuoco. Ma, appunto, per delle buone cause (a volte mischiate con altre cattive, ma questa è un’altra storia), nell’interesse degli oppressi che poi saremmo tutti noi, esclusi Berlusconi, D’Alema, Fassino e tutto il resto della “casta.”
Ok, questo sul popolo di Grillo. E il condottiero?—Capisco che non posso sottrarmi all’incombenza … Beh, Grillo potrebbe pure essere un agente della Cia infiltrato in una cellula di Al Qaeda e per copertura comico e blogger, ma questo cambierebbe qualcosa? Aggiungerebbe o toglierebbe qualcosa alla sostanziale giustezza, sotto il profilo empirico, della protesta pubblica?
Il fatto è, però, che una cosa è parlare della Forleo, che è una signora talmente ligia al dovere da ritrovarsi scarsamente dotata di sense of humour, e un’altra occuparsi del signor Grillo, che fa sbellicare dalle risate i nevrotici compulsivi di mezza Italia (confluiti nelle piazze cittadine a ciò allestite) ma lascia un po’ perplessa l’altra metà dell’uditorio (quella che in piazza ci va solo a passeggiare). Va bene, ma l’antipolitica, signori perplessi? Il rischio di una deriva qualunquistico-anarcoide con ricadute populistiche e potenzialmente autoritarie? Già, questo potrebbe essere il punto.
Ma più ci penso, più mi convinco che, se Grillo non mi piace, nel suo popolo convivono non solo spiriti sarcastici e istinti primordiali, non soltanto anime belle, ma anche potenziali spiriti schietti e leali servitori della res publica, risorse positive—e un qualche merito, bisogna riconoscerlo, deve avercelo anche l’insigne blogger che si è preso cura di loro, che se li è tirati su giorno dopo giorno, con pazienza e premura materna.
Parlando la lingua di chi si esprime per slogan, direi che una parte non indifferente del popolo grillesco si rende interprete di energie che finora sono rimaste fuori dai riflettori: un esercito di disincantati ex-di sinistra, ancora a metà del guado quanto a ricollocazione e dunque disponibili a qualunque avventura, purché solo virtuale, beninteso. Odiano i partiti, vogliono distruggerli, ma attenzione, questa è “pura rappresentazione,” e colla rappresentanza, ovviamente, non c’entra nulla. Chissenefrega di cosa mettere al posto, tanto mica si fa sul serio, that’s entertainment, old sport.
Ma, un attimo, tutto questo non significa che non ci sia costrutto. Il bandolo c’è, eccome. E’ che quelle richieste tanto campate in aria non sono, A gente che è già stata disincantata dalla militanza politica, e soprattutto che non ha l’età sessantottarda dei girotondisti (diciamo “oltre” vent’anni di meno) le favolette ideologiche non le racconti più: richiedono precisamente ed esclusivamente di non essere presi in giro e vogliono vedere che carte ha in mano il Potere, il tutto a suon di Vaffa … e per il tramite di infiniti sberleffi, capriole e mangiatori di fuoco. Ma, appunto, per delle buone cause (a volte mischiate con altre cattive, ma questa è un’altra storia), nell’interesse degli oppressi che poi saremmo tutti noi, esclusi Berlusconi, D’Alema, Fassino e tutto il resto della “casta.”
Ok, questo sul popolo di Grillo. E il condottiero?—Capisco che non posso sottrarmi all’incombenza … Beh, Grillo potrebbe pure essere un agente della Cia infiltrato in una cellula di Al Qaeda e per copertura comico e blogger, ma questo cambierebbe qualcosa? Aggiungerebbe o toglierebbe qualcosa alla sostanziale giustezza, sotto il profilo empirico, della protesta pubblica?
September 7, 2007
Qualcosa 'di destra'
Ed ecco di nuovo un monsignor Ravasi controcorrente. Stavolta è un inno al coraggio, perfino con punte di aristocratico disprezzo per «i deboli». Quasi a dire (se non tradisco l'intenzione dell'Autore): c’è un Vangelo di misericordia e uno per gente “più tosta,” che non si ferma, per dire, davanti ai fuochi e fiamme dei mainstream media, come in maniera un po’ petulante usano dire quelli di destra, ma non senza talune validissime ragioni.
Quelli che preferiscono restare all’antica piuttosto che uniformarsi e sparire nel buco nero della balla sistematica e planetaria, un po’ scientifica e un po’ totalitaria, del politically correct. Un redattore di Repubblica o del Corriere, ad esempio, dovendo trattare la suddetta materia, non metterebbe tanto in risalto “il vero carattere di una persona, la sua fibra genuina, la sua capacità di lottare e sperare,” quanto l’obbligatoria (e meritoria) solidarietà e comprensione per «i deboli», e finirebbe per gettare, anche involontariamente l’ombra del sospetto su chi dimostra di saper osare. Altro che Calvinismo! Cattolicesimo di parrocchia doc, cioè un po’ una libera interpretazione pauperistica e quartomondistica di interi passi evangelici che pure contengono e/o sono preceduti oppure seguiti da espressioni forti e non di rado aspre, e a volte persino da accenni d’ira proprio nei confronti—mi si perdoni la semplificazione—della gente senza carattere, e si badi che son cattolico anch’io e che non sto meditando alcuna secessione personale, ché altrimenti cascherebbe il palco.
Insomma, al cuore della questione, c’è questo e anche quello. Ma stavolta monsignor Ravasi ha incrociato lo sguardo con quest’altra faccia della divinità bifronte. A me, comunque, il Ravasi “calvinista” è ancora più simpatico.
Quelli che preferiscono restare all’antica piuttosto che uniformarsi e sparire nel buco nero della balla sistematica e planetaria, un po’ scientifica e un po’ totalitaria, del politically correct. Un redattore di Repubblica o del Corriere, ad esempio, dovendo trattare la suddetta materia, non metterebbe tanto in risalto “il vero carattere di una persona, la sua fibra genuina, la sua capacità di lottare e sperare,” quanto l’obbligatoria (e meritoria) solidarietà e comprensione per «i deboli», e finirebbe per gettare, anche involontariamente l’ombra del sospetto su chi dimostra di saper osare. Altro che Calvinismo! Cattolicesimo di parrocchia doc, cioè un po’ una libera interpretazione pauperistica e quartomondistica di interi passi evangelici che pure contengono e/o sono preceduti oppure seguiti da espressioni forti e non di rado aspre, e a volte persino da accenni d’ira proprio nei confronti—mi si perdoni la semplificazione—della gente senza carattere, e si badi che son cattolico anch’io e che non sto meditando alcuna secessione personale, ché altrimenti cascherebbe il palco.
Insomma, al cuore della questione, c’è questo e anche quello. Ma stavolta monsignor Ravasi ha incrociato lo sguardo con quest’altra faccia della divinità bifronte. A me, comunque, il Ravasi “calvinista” è ancora più simpatico.
Prima di buttarsi in un pericolo, bisogna saperlo prevedere e temere. Ma una volta che ci si è dentro, non rimane altro che disprezzarlo.
Mi hanno regalato un'antica e splendida edizione delle Avventure di Telemaco del vescovo e scrittore francese François Fénelon. Si tratta di un vasto romanzo pedagogico sull'arte di governare se stessi e gli altri, prendendo come spunto un immaginario viaggio di Telemaco alla ricerca di suo padre Ulisse, avendo per guida Mentore, un saggio maestro di vita.
Gli spunti che il libro offre, anche a livello di rispetto delle idee altrui e di tolleranza, sono molteplici e significativi. Sfogliando quelle pagine, m'imbatto nell'ammonimento che oggi ho citato per i nostri lettori. Due sono i suggerimenti che il vescovo francese ci propone. Innanzitutto è necessario superare l'incoscienza. C'è, infatti, chi procede per le strade dell'esistenza senza precauzioni, senza attenzione, senza riflessione.
Il principio formulato da Gesù sull'equilibrio tra le qualità di semplicità e spontaneità della colomba e quelle di astuzia e di abilità del serpente rimane sempre valido per tutti. Troppo spesso ai nostri giorni ci si butta a capofitto in situazioni pericolose, con una superficialità sconcertante, scambiata per coraggio e indipendenza.
Ma c'è un'altra nota da aggiungere: una volta che si è incappati in una situazione complessa e difficile, non ci si deve avvilire, deprimere o demoralizzare. È allora che si vede il vero carattere di una persona, la sua fibra genuina, la sua capacità di lottare e sperare. Diceva un altro scrittore più vicino a noi, Hermann Hesse: «Per vie senza pericoli si mandano soltanto i deboli».
["Il Mattutino" di Gianfranco Ravasi, su Avvenire di oggi]
September 6, 2007
A ringing, pristine sound
Luciano Pavarotti dead at 71. Read today's The New York Times article to learn more about
the Italian singer whose ringing, pristine sound set a standard for operatic tenors of the postwar era [...].
Like Enrico Caruso and Jenny Lind before him, Mr. Pavarotti extended his presence far beyond the limits of Italian opera. He became a titan of pop culture. Millions saw him on television and found in his expansive personality, childlike charm and generous figure a link to an art form with which many had only a glancing familiarity.
About spiritual gifts
Now about spiritual gifts, brothers, I do not want you to be ignorant. You know that when you were pagans, somehow or other you were influenced and led astray to mute idols. Therefore I tell you that no one who is speaking by the Spirit of God says, "Jesus be cursed," and no one can say, "Jesus is Lord," except by the Holy Spirit.
1 Corinthians 12, 1-3
It is a consolation to think that for us Christians there is an intrinsic impossibility of becoming what we don’t want to become. Because “no one can say ‘Jesus is Lord,’ except by the Holy Spirit.” And that is just what we, as Christians, are committed to proclaiming wherever we go and whatever we do. Better still, because “no one who is speaking by the Spirit of God …" can say and even think anything less than a Psalm (and no prayer is sweeter, wiser, and more glorifying to God than a Psalm).
September 5, 2007
Blogosfera in evoluzione
"Non bisogna vivere nei ricordi ma fare in modo che i ricordi vivano in te."
A proposito di buone letture nella blogosfera, questa bella citazione (ex auditu) l’ho trovata nel più impensabile del blogs—o almeno così credevo: potenza dell’amore e trionfo dei sani principi …
(io l’ho sempre detto che non bisogna mai disperare!)
A proposito di buone letture nella blogosfera, questa bella citazione (ex auditu) l’ho trovata nel più impensabile del blogs—o almeno così credevo: potenza dell’amore e trionfo dei sani principi …
(io l’ho sempre detto che non bisogna mai disperare!)
Qui Base 1
Rieccomi, tornato alla base. Già da qualche giorno, ma sono state giornate piene. Arretrati, cose da fare, informazioni frammentarie e insufficienti (soprattutto tv). Persino scoperta di blogs interessanti e, sulla carta stampata, alcune letture piacevoli. Un atterraggio morbido dopo la trasvolata sulla Francia, che non sarà più la Douce France—come annotano, delusi e allarmati dai dati e dalle proiezioni, gli Osservatori del turismo d’oltralpe—ma è pur sempre qualche spanna più avanti a noi quanto a organizzazione dell’intero comparto turistico e cura del patrimonio culturale e ambientale. Col che si vuol dire che, forse, c’è ancora speranza per tutti noi. Parola di scout.
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