Trasferita dal piano morale a quello legislativo, la denuncia angosciata e scandalizzata della “morte legale” procurata dall’aborto non può approdare a una irrealizzabile, metafora a parte, “moratoria dell’aborto”, bensì solo alla conservazione o al ripristino della “morte illegale”, cioè della clandestinità dell’aborto e della persecuzione penale delle donne in carne e ossa. Che non è, finora, l’orizzonte dichiarato del redattore dell’appello, e mi auguro che non lo diventi mai.
Questa la conclusione della “Piccola posta” di Adriano Sofri sul Foglio di ieri (e ripubblicata oggi in seconda pagina). La risposta di Giuliano Ferrara è uno degli editoriali di oggi. Sono due piccoli capolavori, e soprattutto sono la dimostrazione di come può e, forse, dovrebbe essere il dialogo su una materia come l’aborto tra persone che la pensano in maniera diversa. Cito solo la conclusione del direttore del Foglio, con la quale concordo e nella quale mi riconosco in maniera sostanziale.
Quanto al ripristino della morte illegale e della persecuzione legale verso le donne incinte, sai bene e lo scrivi che non ci penso nemmeno. Ma una drastica rottura nell’accondiscendenza vile, sottolineata dall’ipocrita e soddisfatta campagna sui diritti umani universali in tema di pena di morte, obliosa dell’essenziale, ci vuole. Io la chiamo moratoria. Tu chiamala come vuoi, nell’amicizia di sempre.
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