Il modo più concreto per ricordare nella condanna i crimini incarnati in feroci sistemi politici e le tragedie del passato è denunciare le nuove forme presenti del male. Per questa ragione, le parole scelte per il Giorno della Memoria dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affondano la presa sul cuore della belva, che ruggisce da Teheran e dai mille rivoli del maremoto jihadista, ma s’accuccia anche nei retropensieri degli odiatori di sé occidentali.
Dice Napolitano che bisogna combattere “ogni rigurgito di antisemitismo. Anche quando esso si travesta da antisionismo”. L’affermazione ha il giusto sapore del disvelamento di un’ipocrisia. Perché, come ha ricordato il presidente, “antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico” e delle “ragioni della nascita, ieri, e della sicurezza, oggi” dello stato d’Israele. Il primo passo di ogni sterminio è la negazione della casa e Israele è nato come, ed è, la casa degli ebrei.
“E che cos’è l’antisionismo? E’ negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell’Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. E’ una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio. In poche parole, è antisemitismo… Lascia che le mie parole echeggino nel profondo della tua anima: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, puoi starne certo”. Lo diceva Martin Luther King, ha fatto bene a ricordarlo Napolitano.
January 26, 2007
Antisionismo
Niente da aggiungere, niente da togliere a questo editoriale del Foglio di oggi:
Se solo i teocon imparassero a sorridere ...
Siamo al “tramonto della prospettiva teocon come proposta politica?” Sì, secondo Pierluigi Mennitti, che ne ha scritto sul suo walking class in maniera, a mio avviso, molto assennata ed equilibrata. Dello stesso parere è Calamity Jane, una blogger che, tuttavia, ama definire Il Foglio “l’Unico Quotidiano Che Leggo”—en passant, stanno messi mica tanto bene Giuliano Ferrara & C. se questo è il risultato! O forse consiste proprio in questo l’eccellenza di un giornale, che possa consentirsi il dissenso (su questioni essenziali) di lettori affezionati senza che ciò comporti l’interruzione di un rapporto fiduciario o addirittura esclusivo, come in questo caso? Chissà, io comunque lo sospetto fortemente, e la cosa, oltretutto, mi suona maledettamente bene.
Concordo abbastanza. Anche se, oltre ai laicisti assatanati e agli atei devoti, mi sembrerebbe giusto ricordare i non pochi devoti-devoti, cioè i credenti che sono del medesimo avviso. Questa precisazione, vorrei aggiungere, non è pura pignoleria. Qui c’è un dato sostanziale, perché se uno volesse applicare un po’ spregiudicatamente—e in qualche modo a rovescio—al caso specifico il cinismo staliniano del “quante divisioni ha il Papa?” potrebbe a buon dirittodomandare retoricamente: “Quanti sono gli atei devoti e i laicisti (assatanati e non)? E quanti sono i credenti?”
Dunque, può essere condivisibile, piuttosto, la convinzione che il futuro del nostro paese non si giocherà principalmente sui temi etico-religiosi, anche mettendo in conto che coloro che si professano e sono effettivamente buoni cristiani non costituiscono di certo un monolite e che tra loro ci possono essere differenze anche significative (ma meno di quanto le polemiche “di schieramento” potrebbero far pensare, a mio modestissimo avviso) nell’approccio alle questioni più scottanti in materia di etica, bioetica, costume, ecc. Questi temi, in altre parole, avranno un peso non indifferente, ma non monopolizzeranno il dibattito. Enormi questioni economiche, sociali, geo-politiche o strettamente politiche, pur intrecciate ai temi religiosi, etici, culturali e identitari, saranno con ogni probabilità al centro delle nostre preoccupazioni.
Anche per quel che riguarda il tramonto dei teocon credo si possa concordare fino a un certo punto. Tempo fa ho espresso forti dubbi sulla esportabilità in Europa e in Italia di “filosofie” e atteggiamenti mentali che negli Stati Uniti hanno radici molto solide. Quello della Cattedrale e il Cubo è uno schema affascinante, ma solo con qualche acrobazia mentale può essere riferito allo stato effettivo delle società che pure hanno prodotto i due archetipi, quelli, appunto, che George Weigel ha elevato—per tanti aspetti genialmente—a paradigma di una sfida epocale da cui l’Europa uscirà rigenerata o in piena decadenza.
Nello stesso tempo, però, credo ci sia bisogno di chi ha voglia di approfondire e di intensificare una ricerca seria e rigorosa—condotta, cioè, senza arrière pensées e, aggiungerei, con animo benevolo—sull’«identità» e sulle «radici» dell’Europa e dell’Italia. Ha detto molto bene Pierluigi Menniti: non servono a niente l’ossessione identitaria e “l'idealizzazione di un passato idealizzato.” Perché
Sono concetti, questi, che condivido senza riserve, espressi per giunta con una chiarezza che a me sembra direttamente proporzionale alla «semplicità» dell’assunto. I nostri antenati, del resto (a proposito di radici!), non dicevano forse Simplex sigillum veri?
Checché se ne dica tra laicisti assatanati e atei devoti, il futuro del nostro paese non si giocherà sui temi etico-religiosi, e gli elettori - che si mostrano già stanchi dei proclami dall'una e dall'altra parte - lo hanno compreso.
Concordo abbastanza. Anche se, oltre ai laicisti assatanati e agli atei devoti, mi sembrerebbe giusto ricordare i non pochi devoti-devoti, cioè i credenti che sono del medesimo avviso. Questa precisazione, vorrei aggiungere, non è pura pignoleria. Qui c’è un dato sostanziale, perché se uno volesse applicare un po’ spregiudicatamente—e in qualche modo a rovescio—al caso specifico il cinismo staliniano del “quante divisioni ha il Papa?” potrebbe a buon dirittodomandare retoricamente: “Quanti sono gli atei devoti e i laicisti (assatanati e non)? E quanti sono i credenti?”
Dunque, può essere condivisibile, piuttosto, la convinzione che il futuro del nostro paese non si giocherà principalmente sui temi etico-religiosi, anche mettendo in conto che coloro che si professano e sono effettivamente buoni cristiani non costituiscono di certo un monolite e che tra loro ci possono essere differenze anche significative (ma meno di quanto le polemiche “di schieramento” potrebbero far pensare, a mio modestissimo avviso) nell’approccio alle questioni più scottanti in materia di etica, bioetica, costume, ecc. Questi temi, in altre parole, avranno un peso non indifferente, ma non monopolizzeranno il dibattito. Enormi questioni economiche, sociali, geo-politiche o strettamente politiche, pur intrecciate ai temi religiosi, etici, culturali e identitari, saranno con ogni probabilità al centro delle nostre preoccupazioni.
Anche per quel che riguarda il tramonto dei teocon credo si possa concordare fino a un certo punto. Tempo fa ho espresso forti dubbi sulla esportabilità in Europa e in Italia di “filosofie” e atteggiamenti mentali che negli Stati Uniti hanno radici molto solide. Quello della Cattedrale e il Cubo è uno schema affascinante, ma solo con qualche acrobazia mentale può essere riferito allo stato effettivo delle società che pure hanno prodotto i due archetipi, quelli, appunto, che George Weigel ha elevato—per tanti aspetti genialmente—a paradigma di una sfida epocale da cui l’Europa uscirà rigenerata o in piena decadenza.
Nello stesso tempo, però, credo ci sia bisogno di chi ha voglia di approfondire e di intensificare una ricerca seria e rigorosa—condotta, cioè, senza arrière pensées e, aggiungerei, con animo benevolo—sull’«identità» e sulle «radici» dell’Europa e dell’Italia. Ha detto molto bene Pierluigi Menniti: non servono a niente l’ossessione identitaria e “l'idealizzazione di un passato idealizzato.” Perché
[l]a modernità non è il male, e un conservatorismo illuminato sarebbe quello che prova a coniugare il progressismo con quel tanto di tradizione necessaria, per non perdere le radici, per non smarrire il senso di un percorso.
[…]
Il mondo va avanti e il problema è quello di gestire i problemi e le sfide puntando sulla gradualità dei processi, ma con ottimismo, senza dipingere il futuro a tinte fosche per giocare sulle paure della gente. La politica della paura non conduce da nessuna parte.
Sono concetti, questi, che condivido senza riserve, espressi per giunta con una chiarezza che a me sembra direttamente proporzionale alla «semplicità» dell’assunto. I nostri antenati, del resto (a proposito di radici!), non dicevano forse Simplex sigillum veri?
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