[d]ubito che questo nuovo corso sia congeniale alla natura di Prodi. Prodi è uomo di bunker. La sua strategia del muro contro muro, del polo puro e duro, non è di questa legislatura; è una costante sin dal primo governo Prodi, che si autoaffondò nel 1998 pur di non macchiare la sua purezza «aprendosi» a Cossiga.
Ma se Prodi “è uomo di bunker,” sulla qual cosa credo si possa essere d’accordo, resta il fatto che i numeri per “fare bunker” non ci sono. E dunque? Dunque, secondo Sartori, poiché “senza il sostegno di numeri non si può trasformare un passino, o un colabrodo, in un muro,” non resta che aspettare e vedere se Prodi sarà capace di rinunciare ad essere se stesso.
Mi sembra un’impostazione molto realistica. In realtà non la trovo nemmeno in contraddizione con quella di Panebianco: semplicemente, per così dire, la prolunga. Il problema si aggrava se aggiungiamo una considerazione elementare: se anche Prodi riuscisse, quante probabilità ci sarebbero che il suo disordinato esercito si riallinei e sia finalmente disposto a marciare compatto? Non è il solo Prodi, infatti, a dover rinunciare a se stesso, c’è anche la sinistra massimalista. Dunque sono due le incognite che gravano sul governo, e l’una e l’altra “si tengono.” Anzi, più che di incognite bisognerebbe parlare di autentici macigni.