Io rispetto il pensiero degli altri, aspettando che maturi il rispetto per il pensiero o magistero di un Papa che mi piace, che sa dire quel che si deve dire a favore della ragione e contro il razionalismo astratto. E non sono papista perché voglio "strumentalizzare la religione" (com'è sempre banale, piatto, il pensierodell'onorevole Prodi, con tutti quei fratelli che sanno e che ragionano potrebbe informarsi almeno in famiglia!). Sono papista perché sento con sempre maggiore chiarezza che qualcosa di serio e profondo non funziona nel nostro modo di vivere, e che la libertà di vivere come a ciascuno pare e piace, sacra in linea di principio, si sta rovesciando nell'obbligo di vivere come impone l'ideologia secolarista, sempre conformi a una linea di fatto.
Se ne può parlare liberamente, della verginità prima del matrimonio che suona ruralismo ideologico e proibizionismo urticante contro l'uso precoce dei sensi, suona proprio così al cospetto dell'amor civile celebrato con il divorzio in Piazza Navona, ma se ne può parlare soltanto se venga rispettato, compreso, accolto con simpatia e non con irrisione l'insieme del discorso pubblico nuovo della chiesa cattolica e di tante altre denominazioni, cristiane e non (penso alla sortita del rabbino Di Segni sull'omosessualità).
O i laici si aprono al confronto, e si reinventano, oppure asfaltano una brutta strada che sarà percorsa dal carrozzone dell'incomprensione, della rigidità ideologica, chiunque vinca alla fine, e sappiamo tutti che la vittoria vola per adesso sulle ali dispiegate dell'informazione di massa, della pubblicità di massa, della cultura di massa supersecolarizzata. Ma per laici veri, vincere nel disonore di un mancato confronto, vincere non con l'ironia di una cultura che si contamina con quella più antica e più densa dei cristiani, vincere con la forza d'inerzia, non è un premio. È una condanna.
[Dall’editoriale del Foglio di oggi]
May 14, 2007
Vittoria amara
Vorrei dire che adesso le cose sembrano un po’ più chiare, che a piazza San Giovanni s’è fatto un passo avanti, ma sarebbe una verità parziale, perché avanti si va solo se c’è l’idea condivisa che ci si debba andare, all’incirca, tutti insieme, non due terzi sì e uno no. E poi, diciamolo, dei laici c’è bisogno, perché senza di loro, cioè senza i “lumi” e le rivoluzioni borghesi, non saremmo ciò che siamo. Così come loro, senza di noi, non sarebbero neanche potuti esistere. Per questo, a rigore, c’è poco da esultare, e la vittoria—schiacciante, perfino imbarazzante—è amara per noi papisti quasi quanto lo è la disfatta per la controparte. Sappiamo, in ogni caso, che se “qualcosa di serio e profondo non funziona nel nostro modo di vivere,” non sarà senza—e tanto meno contro—di loro che riusciremo a cambiare ciò che va cambiato, conservando però ciò che va conservato. Se solo si riuscisse a rispettarsi reciprocamente si sarebbe già in vista della meta. Infine, non vorrei sembrare scortese, ma a me pare che un appello come questo dovrebbe far meditare:
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