L'etica, la politica e il diritto si possono bensì distinguere ma non disgiungere. Non esiste un’etica pratica, se non mediante le buone leggi e le buone amministrazioni.
Sono parole di un “filosofo e giurista di stampo illuministico,” Gian Domenico Romagnosi (1761-1835), tratte da un saggio intitolato L’associazione dell’etica, della politica e del diritto. Il commento va subito al cuore della questione:
Si tratta del rapporto tra etica e politica, un nesso che il pensatore definiscecon due verbi significativi «distinguere ma non disgiungere». Per certi versi ritorna il celebre motto evangelico del «dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».Da un lato, infatti, la moneta - come ricorda Gesù - reca l’immagine di Cesare: esiste, dunque, un’autonomia nella politica, in alcune sue scelte e percorsi, così da impedire ogni forma di teocrazia per cui trono e altare si fondono e confondono. D’altro, lato, però, l’uomo che è il termine capitale di riferimento della politica è «immagine di Dio»: ci sono, quindi, valori che superano la mera gestione sociale e che sono indisponibili perché trascendenti. È qui che scatta l’etica con le sue norme che tutelano la dignità della persona, la giustizia, la vita, la libertà. Il cristiano entra, perciò, nella società e vive queste due dimensioni che sono da distinguere ma non da
disgiungere, creando tensioni o alternative.
A scanso di equivoci, il monsignore sottolinea che, “certo, si tratta di un incontro delicato, da vivere senza prevaricazioni ma anche senza cedimenti.” Ma sulle prevaricazioni non c’erano dubbi, e forse è persino superflua qualsiasi sottolineatura, mentre sui cedimenti, diciamolo pure, repetita juvant.