Ieri ne hanno scritto in maniera persuasiva—chi più chi meno—alcune delle penne più brillanti della carta stampata (ad esempio l’ottimo Riccardo Barenghi, Paolo Franchi e Renzo Foa), ed oggi lo hanno fatto egregiamente Vittorio Feltri e Antonio Socci su Libero e Luca Ricolfi su La Stampa. Magari con un certo imbarazzo, dato che si tratta di qualcosa di effettivamente nuovo e, sotto vari aspetti, spiazzante. Penso che valga la pena di leggere attentamente e di meditare, ma qui, contrariamente al mio costume, non ne terrò conto, perché quel che mi intriga di più nella storia del Grande Annuncio di Beppe Grillo è un risvolto che non mi sembra sia stato colto (a parte, in qualche modo, quel bastian contrario del Barenghi).
Andiamo con ordine. Dunque, Grillo ha sorpreso tutti, in particolare il “suo” popolo, che in gran parte tutto si aspettava, almeno così credo, meno che il proclama di cui sopra. Perché lui, fino a poche ore fa, era soltanto un capo virtuale, in maniera consona al suo personaggio di sempre, mentre adesso si propone ufficialmente per un ruolo di protagonista della vita politica nazionale, e questo sia che faccia la sua “discesa in campo” direttamente, come in passato Berlusconi e Di Pietro, sia che voglia limitarsi a fare il coordinatore dall’esterno di un movimento con proprie liste alle prossime amministrative.
La svolta, voglio dire, ha messo nei guai non tanto e non solo la classe politica, ma in primo luogo la gente che lo ha seguito finora: adesso, se si tirano indietro, sono—detto senza offesa—un tantino poco seri. Ora, o ci si candida o si fa una magra, perché sottrarsi al dovere civico di battersi concretamente, in prima persona e dunque con sacrificio personale, per ciò in cui si crede, quando ne viene offerta la possibilità, toglie semplicemente il diritto di lamentarsi. Bella fregatura per chi del piagnisteo ha fatto un costume di vita e dell’indignazione una professione (anche soltanto part-time, perché quando uno tiene famiglia, si sa, qualche compromesso bisogna mandarlo giù). Il fatto è che, solitamente, alla gente non è che avanzi tanto tempo e voglia di sbattersi con la politica attiva, che come è noto a chi l’ha bazzicata un po’ ti succhia il sangue e quel che concede a pochissimi che arrivano ai vertici, sia pure a livello locale, lo toglie ai numerosissimi che si sbattono e basta. Perché va bene prendersela con “la casta,” ma, appunto, c’è anche gente, e non è poca, che fa politica senza altra soddisfazione che quella di aver servito una causa che ne valesse la pena.
Anche soltanto per questo, cioè per aver messo con le spalle al muro qualche centinaio di migliaia di delusi e amareggiati virtuali, Grillo meriterebbe un premio, e a darglielo dovrebbero essere proprio i tanto vituperati partiti: dopo averli delegittimati moralmente ricoprendoli di insulti, li ha riscattati facendosi egli stesso partito e costringendo i suoi fans ad assumersi delle responsabilità, pena la perdita di dignità e credibilità personale. Bello scherzetto da prete, e del resto l’insigne blogger che altro è se non il Savonarola della blogosfera?
Certo, a questo punto un rischio lo corre anche lui, ed è il peggiore per un uomo di spettacolo. La politica logora (sempre) chi la fa e disgusta (novantanove volte su cento) chi la subisce. I fischi del pubblico pagante sono praticamente quasi una certezza.