Non per dare un colpo alla botte e uno al cerchio, ma stasera Giuliano Ferrara l’ho veramente apprezzato. O meglio, mi è piaciuto molto il suo Otto e mezzo. Beh, veramente, ad essere proprio sinceri, il merito è essenzialmente di Alessandro Giuli, che è stato ospite della trasmissione per parlare del suo libro, Il passo delle oche (Einaudi, pagg. 176, € 14.50), un pamphlet piuttosto severo, o meglio impietoso, su Gianfranco Fini e su tutto il gruppo dirigente di An.
Non sto a riassumere perché non sono un esperto delle cose di quel partito, dal quale, oltretutto, mi sento effettivamente un po’ troppo lontano. Tra qualche ora, comunque, chi l’avesse persa potrà trovare qui il video della trasmissione, che il lunedì è pure abbastanza breve. In due parole, comunque, la tesi di Giuli è che a destra non è difficile rintracciare l’ubi consistam di Bossi, di Casini e di Berlusconi, mentre quello di Fini è un po’ più problematico, anzi, stando all’Autore, non c’è proprio. Il che, si parva licet, collima perfettamente con l’impressione che ne ho io, e questo ovviamente non mi dispiace.
Giuli, comunque, ha un'altra cosetta cosa in comune con me: ha letto Evola. Sicuramente meglio e più approfonditamente di me, è chiaro, anche perché, in materia di studi sulla cosiddetta “Tradizione,” al pensatore italiano ho sempre preferito il francese René Guénon, malgrado la difficoltà e, per certi aspetti, la dispersività—a mio modesto giudizio—del pensiero di quest’ultimo. Ebbene, dicevo, l’aver letto Julius Evola (solo due o tre delle sue opere maggiori) fa sì che, quando si parla di uno stile, di un «carattere» dell’uomo di destra, so a cosa ci si riferisce, ed anche se non condivido capisco che il ragionamento, al di là delle divergenze, ha una sua dignità culturale e, direi, anche una sua nobiltà, ammesso, beninteso, che sia possibile mettere tra parentesi, per seguire l’ipotesi di lavoro, le aberrazioni razzistiche ed antisemitiche di cui Evola si è macchiato. Per questo credo che Alessandro Giuli abbia ragioni da vendere, e che il suo disgusto (filosofico) per una destra che è mancata, innanzitutto, sul piano «spirituale» sia giustificato.
Dopodiché mi viene da pensare che, se Fini ha “tradito” la destra, o almeno la sua manifestazione italica, si può solo esserne felici. Da liberali, intendo. Insomma, meno male che l’ha capito, si potrebbe dire. Epperò, se le cose hanno preso questa direzione, non è che l’approdo sia quello che, appunto, sarebbe stato auspicabile da un punto di vista liberale (di destra). Vale a dire che c’è qualcosa di incompiuto, di non risolto, e questo più per calcolo opportunistico e debolezza culturale—le due cose si tengono, secondo Giuli—che per altro. L’esito, quindi, è di una mediocrità sconcertante. Paradigmatica, in definitiva, della crisi complessiva del sistema politico italiano.
Ferrara, credo, con questo Otto e mezzo si è quasi fatto perdonare. Ho detto quasi, attenzione …