1. YANGON (Reuters) - Circa 5.000 monaci e civili stanno marciando verso il centro della capitale dell'ex Birmania, Yangon, sfidando i soldati e la polizia dispiegati nella città in assetto anti-sommossa.
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2. YANGON (Corriere della Sera) Scatta la repressione della giunta - Continua a crescere la tensione in Birmania e secondo le ultime notizie l'attesa repressione di soldati e polizia ha fatto la prima vittima: un monaco è stato ucciso dagli spari dei militari dell'esercito birmano, che ha tentato di disperdere la protesta pacifica nelle strade birmane. Lo hanno riferito la stampa e testimoni locali.
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Pregate per la Birmania, sintetizza oggi Enzo Reale sul suo blog “generalista,” mentre su quello specialistico, di quel lontano e sfortunato Paese si è occupato nei giorni scorsi con una serie formidabile di post che tutti coloro i quali vogliono capire qualcosa di quello che sta succedendo e del come e perché si sia arrivati a questo punto dovrebbero leggere. Non ci sarebbe altro da aggiungere (all’appello di Enzo e ai suoi post), sennonché, per dare ai giornali quel che è dei giornali, suggerisco di leggere un ricchissimo e toccante articolo di Bernardo Valli su la Repubblica e l’intervista di Giordano Stabile, su La Stampa, al primo ministro del governo democratico in esilio della Birmania, Sein Win.
Quest’ultimo, nominato dopo la straripante vittoria della lista guidata dal premio Nobel per la pace (1991) Aung San Suu Kyi (nella foto sopra) nelle elezioni tenutesi nel lontano 1990—le uniche concesse dalla giunta militare che aveva preso il potere ventotto anni prima—sfuggì per miracolo alle epurazioni messe in atto dai generali, e riparò negli Stati Uniti, da dove oggi guida l'opposizione in esilio. E’ ottimista, Sein Win: «E’ la volta buona», dice, «ma la comunità internazionale deve portare al massimo livello le pressioni sulla giunta». Alla domanda sul perché la leadership del movimento sia stata assunta dai religiosi, risponde così:
«In Birmania il ruolo della religione buddhista è molto importante. I monaci vengono dal popolo e ascoltano il popolo, quotidianamente. Hanno capito che il popolo chiedeva loro di fare qualcosa e l'hanno fatto. Questo dimostra anche che i tentativi della giunta di manipolare la religione buddhista per i suoi scopi non hanno avuto molta presa».
Su questo blog, da sempre sensibile alla causa del Tibet, le parole di Sein Win non suonano nuove. Sì, pregare per la Birmania assieme ai suoi monaci e a tutto il suo popolo è cosa buona e giusta. Ma pretendere che l’Occidente faccia la sua parte anche per altre vie non lo è meno. George W. Bush e Gordon Brown—ancora e sempre Stati Uniti e Gran Bretagna!—sembra che ne siano perfettamente consapevoli. Enzo, però, che qualche momento fa ha aggiornato il post già linkato sopra, alla luce delle ultimissime notizie, è molto, molto preoccupato (e ne ha ben donde). Speriamo bene.