1. YANGON (Reuters) - Circa 5.000 monaci e civili stanno marciando verso il centro della capitale dell'ex Birmania, Yangon, sfidando i soldati e la polizia dispiegati nella città in assetto anti-sommossa.
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Quest’ultimo, nominato dopo la straripante vittoria della lista guidata dal premio Nobel per la pace (1991) Aung San Suu Kyi (nella foto sopra) nelle elezioni tenutesi nel lontano 1990—le uniche concesse dalla giunta militare che aveva preso il potere ventotto anni prima—sfuggì per miracolo alle epurazioni messe in atto dai generali, e riparò negli Stati Uniti, da dove oggi guida l'opposizione in esilio. E’ ottimista, Sein Win: «E’ la volta buona», dice, «ma la comunità internazionale deve portare al massimo livello le pressioni sulla giunta». Alla domanda sul perché la leadership del movimento sia stata assunta dai religiosi, risponde così:
«In Birmania il ruolo della religione buddhista è molto importante. I monaci vengono dal popolo e ascoltano il popolo, quotidianamente. Hanno capito che il popolo chiedeva loro di fare qualcosa e l'hanno fatto. Questo dimostra anche che i tentativi della giunta di manipolare la religione buddhista per i suoi scopi non hanno avuto molta presa».
Su questo blog, da sempre sensibile alla causa del Tibet, le parole di Sein Win non suonano nuove. Sì, pregare per la Birmania assieme ai suoi monaci e a tutto il suo popolo è cosa buona e giusta. Ma pretendere che l’Occidente faccia la sua parte anche per altre vie non lo è meno. George W. Bush e Gordon Brown—ancora e sempre Stati Uniti e Gran Bretagna!—sembra che ne siano perfettamente consapevoli. Enzo, però, che qualche momento fa ha aggiornato il post già linkato sopra, alla luce delle ultimissime notizie, è molto, molto preoccupato (e ne ha ben donde). Speriamo bene.