Premessa numero uno: non amo i blogs dei giornalisti, tranne rare eccezioni—e trattasi per lo più di gente che scrive per testate di provincia, sgobboni della blogosfera che ci credono abbastanza e non presumono troppo di sé.
Premessa numero due: non amando il genere, i blogs dei giornalisti li leggo sì e no, e spesso non so neanche quali sono e dove sono (sì, sì, lo so che le due proposizioni sembrano in contraddizione tra di loro, ma non lo sono, fidatevi).
Camillo è una storia diversa. Intanto è un pioniere della blogosfera, anche se, fino a ieri, era un blog per modo di dire (niente commenti, niente permalinks e così via, una roba straziante, tecnicamente parlando), in secondo luogo è una buona fonte per sapere cosa si scrive, si pensa e si fa in America—e senza prendersi la briga di trascorrere mezze giornate al pc per arrangiarsi da soli. Inoltre, benché effettivamente poco provvisto di modestia, l’autore riesce talvolta a ironizzare su se stesso, il che, oltre a rendere quasi superflua l’ironia altrui, depone a favore del suo equilibrio mentale. E hai detto niente, di questi tempi, spazzati da ondate di follia collettiva e percorsi dai predicatori dell’anti-politica e persino dell’anti-informazione, in nome della guerra santa alle «caste», ovunque si celino e comunque si camuffino!
Oltre a tutto il resto, Camillo ci tiene regolarmente informati, appunto, sui blogs dei giornalisti, ché quando ne nasce uno, lui non manca di segnalarcelo tempestivamente. Ad esempio, ora perfino il sottoscritto è al corrente che Travaglio Marco ha un altro blog (“manettaro”), anzi due. Vado a vedere e scopro che ce n’erano già altri tre, tutti sul Cannocchiale, chissà perché. Ma non basta, sempre grazie all’instancabile filantropo scopro che pure Furio Colombo ne ha fatto uno, e così Gad Lerner. Uno dice, embé? Io rispondo che è sempre meglio essere à la page: sapere è potere, dopotutto, poi nel caso non ci vado più, ma intanto … li ho visti!
Da qualche ora Camillo è un blog tutto nuovo, che sarebbe il motivo di questo post. Neanche il paragone con la versione precedente: dare un’occhiata per crederci, quei pochi, nella moltitudine dei visitatori quotidiani, che ancora non avessero provveduto. Poi padronissimi di non metterci più piede. La qualcosa, se degli States non ve ne può importare di meno, non sarebbe una tragedia, ma neppure, dico io, una liberazione—e da cosa, dopotutto?