Del premio Nobel per la Pace Al Gore si potrà dire tutto il bene o il male possibile, a seconda di come si giudica il suo impegno ambientalista e il “metodo di lavoro” seguito per portarlo avanti. Perché tutto è opinabile, in materia di ambiente come in qualsiasi altro ambito di indagine e dibattito. Tutto tranne i fatti, naturalmente.
In politica estera, e specificatamente sulla questione Iraq e Saddam Hussein, aver preso con chiarezza una posizione e averla sostenuta per anni e con determinazione son fatti, fatti che possono piacere o meno, ma che non sono opinabili in quanto tali. La posizione di Al Gore, appunto, fu sempre chiara e coerente. E fu una delle più severe e inflessibili verso il regime di Saddam, di cui si auspicava la caduta, fino alla teorizzazione di soluzioni “forti” e senza troppi compromessi.
Lo ha documentato—in maniera a mio avviso esauriente e persuasiva—Christian Rocca sul Foglio di ieri: un colpo basso degno del miglior giornalismo di parte. Che poi quella sia la parte alla quale qui ci si sente più vicini è un particolare trascurabile. Il Nobel per la Pace, per vie traverse, è andato a un bushiano ante litteram.