E’ appunto questo che la cronaca ci ha insegnato (ricordato) proprio oggi. Due approcci, due stili diversissimi, uno stesso oggetto di indagine: nell’ordine, Carlo Panella, un “anonimo” editorialista del Foglio e la lettera di Walter Veltroni al Corriere della Sera (di sabato scorso). Tra parentesi, qualche minuto fa, a Otto e mezzo, Giuliano Ferrara ha apostrofato Belpietro, Mentana e Guzzanti, chiamati a discutere sul destino del governo Prodi—quando non si sa di cosa parlare si casca sempre su argomenti rigorosamente pallosi—con un inopinato «vogliamo per una volta far finta di essere pensosi del bene comune?», che, diciamo, può aver fatto trasalire il cinque percento dell’uditorio, e comunque ci stava proprio, perché ar popolo, in fondo, il concetto non dispiace. Vabbè, e con questo? Niente, era solo per suggerire una chiave di lettura del post, ma senza alcuna pretesa.
Allora, per andare al dunque, leggete cosa hanno scritto, più o meno in contemporanea, Panella e l’anomnimo (vedi qua sotto), quindi, volendo, ripensate all’estemporaneo motto ferraresco, infine fate le vostre valutazioni. La mia è questa: l’anonimo ha ragione, perché ciò che serve al Paese è un centrosinistra veltroniano—vincente o perdente importa relativamente—, e che il sindaco di Roma vi stia antipatico, che non vi fidiate di lui, che fino a ieri foste scettici e disgustati, e che non siate capaci di dimenticare che lui è quello che diceva di non essere mai stato comunista (ogni volta che ci ripenso, per dire, mi viene il sangue agli occhi), non può far velo al fatto che, per una volta, Uòlter ha espresso concetti giusti. Poi si vedrà quando, più avanti, tornerà sull'argomento, e più ancora quando dovrà mettere in pratica, ma intanto quel che è detto è detto. Quanto a Panella, lui, mi è sempre sembrato un ultra, e dopotutto, sia detto senza malanimo, anche allo stadio non credo di avere niente da spartire con la categoria.
Dal Foglio di oggi:
Che godimento leggere Walter Veltroni quando inchioda sulle pagine del Corriere della Sera i problemi della politica estera prossima ventura. Che bello vedere un leader progressista in evasione ragionata dalle piccole beghe nazionali e che nella lettera si prende addirittura la briga di citare il Pakistan – paesucolo da 160 milioni di persone con armamento nucleare annesso che peserà sul nostro futuro persino più di Ceppaloni. E fosse soltanto il Pakistan. E’ un discorso generale. Bombardieri strategici russi. Delhi. Taiwan. Polonia. Trattato di non proliferazione. Medio oriente. Mediterraneo pacificato. Gruppi terroristi. Scudo antimissile. Il tutto senza la fronte corrucciata di chi a sinistra risponde a domande difficili e noiose soltanto perché è rimasto prigioniero del suo incarico o del rango istituzionale, ma con la penna veloce di chi sente l’urgenza non rimandabile delle cose da dire. Si tratta di un evento irripetibile? No, le stesse cose Veltroni le ha già scritte dieci giorni fa sulla Stampa. Che l’idea di un Iran nucleare è inaccettabile, che è una minaccia pericolosissima per Israele, che le immagini viste su Internet dei balordi che fanno il saluto nazista ad Auschwitz sono il segno che il mondo “non è mai al riparo dai suoi stessi orrori”, che su tutta la questione si gioca la credibilità della comunità internazionale e delle sue istituzioni. A questo va aggiunto che il senatore Goffredo Bettini, suo braccio destro, ha osato pronunciare quello che tutti pensano e nessuno dice, ovvero che siamo bravi a far la voce grossa con le nazioni che non contano nulla, ma che se la Cina è il supporto fondamentale della dittatura birmana, per tacere delle violazioni dei diritti umani su scala industriale di cui si macchia in patria, allora bisognerebbe riconsiderare sul serio l’idea cortese e ipocrita di partecipare alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Il tutto, sia Veltroni sia Bettini, in altri luoghi sarebbe considerato semplicemente lo svolgimento onesto e senza sbavature del compitino da parte della leadership avventizia indicata da una metà politica del paese. Davanti al governo espresso da quella stessa metà politica, l’effetto è invece esplosivo. Nulla arriva sull’Iran e sul suo programma atomico che sia diverso dal: “Ci vuole dialogo, serve comprensione” di Massimo D’Alema e del premier Prodi. Qualsiasi cosa accada, “ci vuole dialogo, serve comprensione”. Leggessero Veltroni, almeno.