Grazie al cielo, stamane, a toglierci dall’imbarazzo c’era Lorenzo Mondo, che su La Stampa, a sua volta, si è fatto sollevare dall’obbligo di dire la sua affidando l’ingrato compito a qualcun altro: Ahmed, un cameriere tunisino che da anni vive e lavora in Italia.
«Qui mi trovo abbastanza bene, rispetto le leggi del mio nuovo Paese e sono in genere rispettato. Ma c’è una cosa che non capisco. È la vostra tolleranza nei confronti di chi si comporta male, in particolare gli stranieri che abusano dell’ospitalità. Per i delinquenti - siano nordafricani, nigeriani o romeni - dovrebbe esserci la prigione o l’espulsione, senza attenuanti».
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«In Italia ci sono governi che non valgono niente, chiudono gli occhi e basta. Da noi, in Tunisia, anche i soli atti di teppismo vengono repressi con severità. È l’impunità ad attirare qui tante persone che non hanno né la possibilità né la voglia di lavorare. Così si alimenta la diffidenza e la chiusura nei confronti degli immigrati onesti».
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«Sembra una cosa piccola ma non lo è. Ogni mattina, uscendo di casa, getto lo sguardo sul giardinetto vicino, dove mio figlio potrebbe prendere aria, giocare con altri bambini. Quello spazio è invaso dal degrado: panchine spezzate o divelte, cespugli con siringhe infette, un tappeto di bottiglie in frantumi. Sono le tracce dei loschi traffici, delle risse e degli schiamazzi notturni. Come è possibile vedere ogni giorno un simile spettacolo? Far crescere un figlio in questa sporcizia?»
Tutto giusto, tutto vero, ma a me ha colpito soprattutto quel sembra una cosa piccola ma non lo è. In effetti non lo è. Noi tutti siamo le vittime di questo inganno, ma non tutti nello stesso grado—e questo vale per i cittadini come per i governi—ne portiamo la responsabilità. Dall’amministrazione dello Stato a quella della giustizia e dell’ordine pubblico, si è lasciato che, un giorno dopo l’altro, omissione dopo omissione, la nostra terra diventasse un tappeto di bottiglie in frantumi.