Cronache di straordinaria follia o di monumentale stupidità? Me lo domando e, ne sono sicuro, se lo chiedono milioni di persone, perché la presunzione di avere il monopolio del buon senso sarebbe stupida o folle almeno quanto i due episodi di cui tutta l’Italia discute.
Un tifoso ucciso da un poliziotto che avrebbe esploso due colpi—di cui uno andato tragicamente a segno—a seguito di una rissa scoppiata tra opposte tifoserie in un’area di servizio in autostrada. «Un tragico errore», secondo il ministro dell’Interno, che ha rilevato come «ancora una volta un giovane è morto in circostanze legate alla violenza che ruota intorno al calcio». Una violenza che, ha puntualizzato Giuliano Amato, «costringe tutti i fine settimana migliaia di uomini e donne delle forze dell'ordine a presidiare autostrade e città per evitare il peggio». Sinceramente, e con tutto il rispetto per Amato, questo tipo di approccio non sembra particolarmente appropriato: che i tifosi abbiano, in generale, le loro colpe è indubbio, ma in questo caso specifico, dispiace dirlo, si fatica a cogliere il nesso di causa-effetto, almeno sul piano delle proporzioni. Che uno, di solito, faccia il tifo per le forze dell’ordine non può e non deve influenzare che fino a un certo punto il giudizio. C’è un limite a tutto. Ma stiamo a vedere, ci mancherebbe, magari salta fuori qualcosa che spiega tutto (è l’ultima speranza, ammettiamolo …).
Una studentessa inglese viene assassinata in casa sua, a Perugia. La sua coinquilina americana ritratta due o tre volte le sue deposizioni. Un musicista congolese sembra dapprima coinvolto in qualche modo, poi salta fuori un alibi. Fin qui nessuna sorpresa, suppongo, per gli appassionati del genere. Poi c’è il moroso dell’americanina, che anche lui sembra dapprima entrarci, poi no, poi forse. Normale. Ma che dire del fatto che il ventiseienne laureando, figlio di un urologo barese, abbia l’abitudine di girare armato di coltello a serramanico? Ma, attenzione, papà ci tiene a far sapere che trattasi di un collezionista, anzi, di uno che cambia coltello a seconda dell’abbigliamento. Notizia illuminante, certo. Uno ha solo la forza di sollevare un dubbio: possibile che nessuno, intorno a quel ragazzo—innocente o colpevole che sia—si sia mai sentito in dovere di esternargli la sensazione epidermica che la sua passionaccia per i coltelli, come minimo, fosse una cosa da pirla? No, direi che non è possibile. E dunque, se messo sul chi vive l’interessato non ha recepito il messaggio, che cosa dobbiamo concludere? Esercitiamoci, e chissà che nei prossimi giorni una risposta sensata non venga in mente a qualcuno.