Improvvidamente chiamato in causa, provocato e tirato per la giacchetta da una simpatica Perla Scandinava—già, fin dalla lontana Norvegia si è scomodata colei ...—che a sua volta era stata tirata in ballo (e come si sa, a nessuno piace essere lasciato con il cerino in mano), eccomi qua, pronto a pagare il mio tributo al giochino del momento. Solo mi astengo dall’estendere, per mancanza di tempo, ché sarebbe un’impresa scovare qualcuno che non faccia purtroppo presagire qualche subdola vendetta …
Il mio governo impossibile:
> Presidente del Consiglio dei Ministri: Giulio Tremonti
> Ministro dell'Interno: Francesco Cossiga (con vent’anni di meno)
> Ministro degli Esteri: Franco Frattini
> Ministro della Difesa: Antonio Martino
> Ministro della Giustizia: Alfredo Biondi
> Ministro dell'Economia: Mario Draghi
> Ministro delle Attività produttive: Pierluigi Bersani
> Ministro del Lavoro: Roberto Maroni
> Ministro della Salute: Roberto Formigoni
> Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca: Dario Antiseri
> Ministro delle Infrastrutture e Trasporti: Giorgio La Malfa
> Ministro delle Comunicazioni: Pietro Lunardi
> Ministro dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare: Ermete Realacci
> Ministro per le Politiche Comunitarie e Commercio Estero: Michela V. Brambilla
> Ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: Altero Matteoli
> Ministro dei Beni e Attività Culturali, Turismo e Spettacolo: Vittorio Sgarbi
> Ministro della Funzione Pubblica: Benedetto della Vedova
> Ministro per le Riforme Istituzionali: Giovanni Sartori
> Ministro per le Pari Opportunità: Stefania Prestigiacomo
> Ministro per lo Sport e le Politiche Giovanili: Carlo Giovanardi
November 25, 2007
Tartufi (e altri tuberi) del giornalismo
Filippo Facci e Mario Cervi, chiamati in causa da Francesco Merlo nell’articolo di cui ad un mio precedente post affinché esprimessero il loro parere sui “tartufi del giornalismo,” hanno risposto alla chiamata sul Giornale di ieri. Facci ha messo insieme il tutto (lui, Cervi e Merlo) su Macchinera. Mi pare che valga la pena di dare un’occhiata. Cervi ricorda i «formidabili» anni in cui
Facci, invece, tra molte altre interessanti considerazioni, ricorda che “non è solo questione di rapporti tra giornalismo e politica, ma tra giornalismo e potere,” il che mi sembra particolarmente corrispondente alla realtà dei fatti, oltre che perfidamente appropriato alla testata da cui, volente o nolente, proviene la chiamata in causa da parte dell'ottimo Merlo. Sentite qua:
Personalmente resto del parere che il mosaico sia ricostruibile mettendo insieme innanzitutto Merlo e Guzzanti. Certo, a questo punto, aggiungerei anche Facci e Cervi. Se qualcuno ha voglia di operare la grande sintesi si accomodi. Sarebbe una fatica meritoria, per niente impossibile. Solo una questione di pazienza (e di stomaco, vabbè).
[i]l giornalismo si avviava verso una omologazione ferrea, tutti i maggiori quotidiani scrivevano le stesse cose con titoli suppergiù uguali e i comitati di redazione - appartenenti in toto allo schieramento di sinistra - pretendevano di imporre un’unica linea all’intera stampa italiana. Per questo Montanelli - che fu osannato come esponente d’un liberalismo colto, risorgimentale aristocratico dopo che ebbe litigato con Berlusconi, ma che prima era bollato come fascista - volle dare una voce ai senza voce, all’esecrata maggioranza silenziosa. Lo fece fondando questo giornale [Il Giornale, appunto].
Facci, invece, tra molte altre interessanti considerazioni, ricorda che “non è solo questione di rapporti tra giornalismo e politica, ma tra giornalismo e potere,” il che mi sembra particolarmente corrispondente alla realtà dei fatti, oltre che perfidamente appropriato alla testata da cui, volente o nolente, proviene la chiamata in causa da parte dell'ottimo Merlo. Sentite qua:
Scrivere un articolo contro Prodi o Berlusconi, oggi, è facilissimo: il cretinismo bipolare offre ripari confortevoli. Il problema è scriverlo contro un'industria di moda, una marca di automobili o di acqua minerale, un grande gruppo farmaceutico o telefonico, colossi che il giornalismo statunitense seziona da almeno trent'anni mentre noi seguitiamo a pensare che la vita passi attraverso le crostate che i politici si cucinano a vicenda. C'è un mondo, là fuori.
Personalmente resto del parere che il mosaico sia ricostruibile mettendo insieme innanzitutto Merlo e Guzzanti. Certo, a questo punto, aggiungerei anche Facci e Cervi. Se qualcuno ha voglia di operare la grande sintesi si accomodi. Sarebbe una fatica meritoria, per niente impossibile. Solo una questione di pazienza (e di stomaco, vabbè).
Caduto nell'adempimento del dovere
Forse è morto da eroe, o forse è stato solo il fato. Quel che è certo è che è caduto nell’adempimento del dovere, nell’ambito di una missione militare che poi—in molti ne siamo convinti—è in realtà una missione di civiltà. Il suo comandante di unità a Piacenza, Mario Tarantino, dice che «era un bravo meccanico». Ma dopo un attimo aggiunge: «Non era uno che si tirava indietro». Di bravi meccanici c’è bisogno, come c’è bisogno di gente che sappia fare bene il proprio lavoro in qualsiasi campo, ambiente, circostanza. E lui, il maresciallo capo Daniele Paladini, era davvero bravo, come ricorda il colonnello Alfredo De Fonzo, comandante del contingente a Kabul: «Era un ragazzo in gambissima. Quel ponte l’aveva smontato, rimesso a posto e ridipinto lui». Già, quel maledetto-benedetto ponte. Ma c’è bisogno anche di gente «che non si tira indietro». E ce n'è, appunto. Stiamo parlando, naturalmente, di quell’altra Italia, che convive con quella delle cronache di queste settimane o di queste ore. Grazie, maresciallo Daniele Paladini.
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