“I could hear the women crying for help, but there was no one to help them.”
Dal 2003, inizio del conflitto in Darfur, migliaia di donne e bambine sopra gli otto anni sono state stuprate e ridotte a schiave sessuali dai miliziani janjaweed. Gli attacchi avvengono spesso mentre le donne si allontanano dai campi profughi, per le normali attività di ogni giorno, e gli stupratori sono quasi sempre in gruppo. Di ritorno al campo, le donne vengono rinnegate dalle loro stesse famiglie. Lo scopo dei janjaweed, con la complicità delle forze regolari sudanesi, è infatti umiliare, punire, controllare, e terrorizzare la comunità da cui provengono. Lo stupro diventa così un'arma e porta, oltre al trauma in sé, le mutilazioni genitali, le ferite, l'alto rischio di contrarre e diffondere l'AIDS e altre malattie sessuali. Refugees International ha ora rilasciato “Laws Without Justice,” un dossier sull'accesso ai servizi legali delle vittime di stupro in Sudan: ne emerge un quadro dalle tinte fosche, in cui le donne sono vittime due volte. Un chiaro esempio è il rischio, per la donna che denuncia le violenze ma che non riesca a provarle, di essere accusata di "zina", adulterio: la pena è morte per lapidazione per le donne sposate o centinaia di frustate per chi non lo sia. Anche il ricorso alle cure mediche fornite dalla ONG presenti in Darfur risulta difficile e rischioso. Le ONG sottostanno alle rigide regole del Governo per continuare a operare nel terriorio, nonostante intimidazioni e attacchi, e perdono così molta della fiducia delle vittime, costrette spesso a compilare un modulo di denuncia che le espone ai rischi della giustizia sudanese. Queste sono solo due delle conclusioni a cui sono giunte le analisi della Refugees International. Il resto lo trovate qui.
[Dal blog di Italian Blogs for Darfur]
Il Darfur è come un fiume carsico per l'informazione italiana. Se prevale l'intesse morboso per le nozze di Sarkozy con una cantante e modella oppure se ci sono dei casini con Mastella scompare dall'evidenza. Non se parla più. Non si parla più della Birmania. E Beppe Grillo rompe le palle moraleggiando a vanvera. Forse è il caso di trovare un modo per sensibilizzare le persone del nostro ricco e spesso insulso paese affinchè si faccia qualcosa. Il pezzo mi ha fatto venire i brividi.
ReplyDeleteCiao Chiara, ben ritrovata! Il pezzo è da brividi, effettivamente.
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