Quando qualcuno tira in ballo l’identità cristiana dell’Italia, e lo fa con un certo clamore, nonché, si suppone, con tutte le migliori intenzioni di porre seriamente la questione, non si può far finta di niente. Anche se non sei esattamente entusiasta di affrontare il problema, e questo, diciamo, perché si tratta di un argomento piuttosto esposto a speculazioni, ti devi disporre all’inevitabile confronto di idee. Pierferdinando Casini, da qualche giorno a questa parte, afferma ad ogni piè sospinto di aver rotto con la Casa delle libertà proprio per difendere quell’identità, Ernesto Galli della Loggia ci scrive su un editoriale, e il gioco è fatto.
Ora, punto primo, sono talmente d’accordo con le osservazioni dell’editorialista del Corriere che potrei limitarmi ad un link sbrigativo, se non fosse che non credo assolutamente nella motivazione addotta dal leader dell’Ucd. Penso, infatti, che Casini abbia rotto con Berlusconi per ragioni, diciamo così, di “appartenenza partitica”—che poi, come ho già scritto in qualche occasione, considero assolutamente legittime, perché salvaguardare l’identità della propria formazione politica è il compito di qualsiasi leader che si rispetti. Casini ha difeso un’identità, ma non, appunto, quella cristiana dell’Italia, bensì quella del suo partito. Legittimo e doveroso, a patto, naturalmente, che si ritenga prioritaria questa esigenza rispetto ad altre, quali, ad esempio, l’opportunità di unire le forze in vista di una maggiore efficacia, poniamo, nella lotta contro chi è in grado di minacciare l’identità cristiana della nazione.
Sul perché Casini abbia scelto in un modo anziché in un altro si può tirare a indovinare. Personalmente penso che il fattore personale—l’aspirazione a non farsi fagocitare all’interno del Popolo della libertà, un partito dominato da Berlusconi e Fini, con quest’ultimo in pole position (chiedo scusa per l’espressione un po’ banale) per la futura ed eventuale successione al capo—abbia giocato un ruolo determinante. Ben inteso, anche questo è legittimo, visto che l’ambizione, in politica, non è una colpa.
Che poi, dall’interno della Chiesa, si sia levata qualche voce a corroborare la lettura casiniana della rottura è una cosa spiegabile con un’altrettanto legittima preoccupazione: quella appunto della Chiesa di avere un partito che risponda innanzittutto ad essa, in forza del nome che porta e del simbolo che campeggia sui manifesti elettorali. Ma anche questo non c’entra nulla con l’identità cristiana del Paese. E a questo punto il rinvio a Galli della Loggia è automatico: si veda come il professore ha demolito la pretesa indispensabilità di un partito esplicitamente cristiano in ordine al conseguimento degli obiettivi identitari di cui sopra.
Di mio sottolineerei che quasi mezzo secolo di Democrazia cristiana ha prodotto una tale noncuranza per l’istituto della famiglia da far arrossire chiunque metta a confronto le concrete politiche per la famiglia che vigono in paesi come la Francia e la Germania con quelle (non) in vigore da noi. Per non parlare di moralità pubblica e privata, come giustamente ricorda Galli della Loggia.
Infine, a voler essere davvero pignoli, non trascurerei neanche la dubbia (quanto meno) coerenza personale con i valori e i canoni di comportamento del cristianesimo. Insomma, la solita storiella di quello che ama talmente la famiglia da ritenere opportuno avercene due … Insomma, perfino il laicissimo Veltroni ha saputo fare di meglio. Un minimo di pudore non guasterebbe. E con questo ho esaurito la scorta di moralismo (per fortuna).
Sarebbe ora che i valori cristiani non avessero più un partito, ma tanti partiti. Caro Rob., fai un salto dalle mie parti, ho bisogno anche del tuo aiuto per diffondere una nuova battaglia (della quale vorrei fossi parte attiva, perché credo tu possa essere d'accordo). Ciao!
ReplyDeleteHai la mia convinta adesione. Quel che posso fare lo farò molto volentieri (intanto ho sottoscritto il "Manifesto per un'ecologia libera"). Ciao.
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