Eravamo un Paese di conservatori: ogni cambiamento guardato con sospetto, se non con ostilità, o quanto meno con l’atteggiamento mentale di chi, a parole, si lamenta di come vanno le cose, ma all’atto pratico preferisce “andare sul sicuro.” Eravamo. Ora non più. L’esito delle elezioni, reso possibile anche dall’innegabile coraggio dei due maggiori competitors, ha fatto piazza pulita. Voto pragmatico, semplificazione, scompaginamento delle vecchie logiche di appartenenza, clamorosa rottura con le abitudini consolidate in materia di voto, e chissà quante altre micro e macro “rivoluzioni copernicane.” E’ bastato che un segnale forte e inequivocabile, uno solo, venisse da Veltroni e Berlusconi, e gli elettori, immediatamente, hanno fatto il resto, cioè la loro parte.
Tra le tante “rivoluzioni” cui abbiamo assistito (e preso parte) quella della scomparsa dell’estrema sinistra è forse la più inaspettata e sorprendente. Ecco, vorrei dirlo nella maniera più equilibrata e, se così posso esprimermi, “educata” …, il fatto è che ne sono particolarmente soddisfatto. Non si tratta di maramaldeggiare (cosa ovviamente odiosissima), è un giudizio politico. Ovunque ci sono comunisti (veri), trotzkisti, e cose del genere, ma non dappertutto sono rappresentati nei parlamenti nazionali, anzi. Dov’è lo scandalo se in Italia una rappresentanza parlamentare non l’hanno più? Non c’è, appunto. Dove sta scritto che una Camera e un Senato orbati di questa presenza ne debbano soffrire? Che il Paese stesso, anzi, ne debba soffrire? Da nessuna parte, che io sappia.
Un altro discorso è quello se una sinistra radicale non solo abbia il diritto di esserci (cosa ovvia), ma che sia un bene che ci sia. Io credo di sì. Alcuni “estremisti” sono riusciti, nel tempo, a far intravedere cose di cui nessuno sospettava l’esistenza. Nelle aule universitarie, nella saggistica, nella produzione letteraria, cinematografica, teatrale, il loro contributo è stato notevole. Ma in un parlamento quale può essere la loro funzione? Quale contributo alla soluzione efficace di problemi specifici e concreti può dare chi, in maniera più o meno dichiarata e contro ciò che pensa e vuole tutto il resto della società, è convinto che le fondamenta stesse su cui il sistema si poggia debbano essere messe radicalmente in discussione? Ecco che un’ipotesi affascinante sul piano intellettuale—perché “folle,” utopistica, geniale perfino, nella sua capacità di essere “contraddizione radicale”—per quanto ovviamente opinabile, diventa il suo opposto, e questo nel momento stesso in cui le si offre l’opportunità di calarsi nel concreto, di diventare “vita quotidiana,” cioè metodologia e prassi della decisione politica: da brillante esercizio intellettuale a sordo ostruzionismo e sistematico boicottaggio delle politiche (riformistiche) altrui. Da sogno (per loro) a incubo (per tutti gli altri, e forse anche per loro stessi).
Ebbene, eravamo un Paese di conservatori, si diceva, ed anche la sinistra radicale rientrava tra “i beni” da conservare. Oggi quel tabù è caduto. A non volerne prendere atto sono oramai in pochi. Tra questi Francesco Cossiga, che paventa ritorni di fiamma eversivi. La stima e l’affetto che si può provare per lui, stavolta non può far velo a un dissenso profondo. La presenza di un robusto partito comunista nel Parlamento italiano non ha risparmiato all’Italia il brigatismo, purtroppo. Personalmente sarei tentato persino di sostenere una tesi diametralmente opposta, sia pure con molti se e qualche ma.
Un altro che non molla è il famoso opinionista Francesco Merlo, che su Repubblica di oggi rivolge un accorato appello a Walter Veltroni affinché faccia sua “la gentilezza di sinistra” dei Niki Vendola, per “maritarla con la cultura di impresa.” Non una riflessione banale, ci mancherebbe, anzi (giustissimi i rilievi ai Pecoraio Scanio), epperò, a me pare, un estenuante esercizio di conservatorismo politico e intellettuale. Il punto non è che Veltroni deve andare da Vendola, ma semmai che Vendola vada da Veltroni, dopo aver realizzato che forse lui (Vendola), con le sue idee e il suo “pragmatismo” (lo garantisce Merlo), starebbe meglio dall’altra parte. Insomma, il percorso effettuato dallo stesso Veltroni e dai D’Alema, le Turci e i Bersani. Non mi sembra di chiedere troppo.
A proposito di conservatorismo da buttare a mare, un altro opinionista, Gian Enrico Rusconi,
ripropone su La Stampa di oggi il vecchio vezzo nazionale di dare molto peso a ciò che scrivono all’estero, in questo caso la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Ora, sia chiaro, bisogna avere il massimo rispetto di tutti—compreso l’Economist che con il Berlusca deve avere qualcosa di personale—e ascoltare tutti, però, magari, se prendessimo atto del fatto che spesso, quando parlano dell’Italia, certi forestieri dimostrano di non essere, ehm, molto preparati, e del resto se le loro fonti di informazione sono i giornali italiani …, ecco, forse sarebbe meglio. L’Italia è un Paese troppo complesso, lo è per noi, figuriamoci per gli altri (poveretti).
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