Does he suspect that Beijing is planning the meeting solely to appease international concern ahead of the Olympics? Well, actually the suspect would be justified, given that even today China's state media was accusing the Dalai Lama of conspiring to turn world opinion against China. This after the Dalai Lama denied some hundreds times the Chinese claim that he supports separation of Tibet by saying every time he-only-wanted-autonomy, though obviously a genuine and complete one—as provided for in the Chinese constitution itself, but remained “on paper” only—to preserve Tibetan unique culture and traditions. “We really need an arrangement of full protection of Tibetan language and culture,” the Dalai Lama said at Colgate University in Hamilton, New York, some days ago.
Yet, perhaps this time China is taking the matter seriously. Why? Because Beijing is afraid—more afraid than ever before. And this, as Sandro Magister puts it, because of one of the new phenomena of this era, namely “the passage to militant politics—and even to armed action—of a religion like Buddhism, traditionally defined as contemplative and identified with pacifism.”
It is a passage that is situated within today's general evolution of all the religions toward a stronger impact on the public stage. For Christianity and Islam, this evolution is before the eyes of all. The events of recent months show that Buddhism is no exception. First Burma, and then Tibet, have been the most evident theatres of the passage of Buddhism from quietist positions and support for the status quo to an action of critique and transformation of society, even confronting heavy repression.
But if in Burma the methods selected were nonviolent, in Tibet something different is happening. The rebellion is being expressed sometimes with a devastating force that takes aim not only at the hated Chinese, but also at those Tibetans who seem to be favored by the modernization promoted by the government of Beijing.
In addition, since not all of the Buddhist organizations supporting abroad the cause of Tibet embrace solely nonviolent methods (the so called “Middle Way” theorized by His Holiness himself) as proved by the difficulties facing the Dalai Lama in securing observance for his pacifist instructions (see also the Statement to All Tibetans, issued on April 5), Beijing might be worried about losing a moderate, “gandhian” interlocutor, whose endless patience is well-known.
That is why we might have come to a turning point in the history of Tibet.
I think the new Cold war is or will be with china
ReplyDeleteCredo che non ci sia molto spazio per l'ottimismo. La Cina ha sempre "usato" il Dalai Lama secondo le proprie convenienze e, dispiace dirlo, il Dalai Lama si è spesso lasciato "usare". Non credo che Pechino sia interessata tanto ad un interlocutore "ghandiano" quanto ad uno manipolabile. La svolta per la storia del Tibet avverrà solo quando la stessa svolta si produrrà a Pechino. Almeno questa è la mia opinione.
ReplyDeleteSaluti.
Enzo
1972.splinder.com
@ Torrance Stephens: I hope there will be no "Cold war" at all ...
ReplyDeleteEnzo, può darsi che tu abbia ragione, anzi, hai ragione senz'altro se escludi qualsiasi facile ottimismo. Io, però, penso che si possa essere moderatamente fiduciosi sulla capacità dei cinesi di essere realisti ...
ReplyDeleteMi spiego in due parole. Senza un accordo con il Dalai Lama in cosa potrebbero trasformarsi le Olimpiadi? Cosa potrebbe succedere? E con quali conseguenze per l'immagine della Cina nel mondo? Bene, io non credo che i cinesi possano permettersi di infischiarsene, possono desiderare con tutte le proprie forze tutto il male possibile per Sua Santità e il suo popolo, la sua religione, lingua e cultura, ma ... a conti fatti uno show down drammatico e insanguinato non sarebbe conveniente.
Non avevano previsto l'immensa popolarità mondiale di Tenzin Gyatso, nessuno l'aveva messa in conto fino a questo punto: un patrimonio di simpatia, anche nel senso etimologico nonché buddhista di "compassione," che nessuno può più permettersi di sottovalutare.
Secondo me, se i cinesi dovessero tenere duro sarà tanto peggio per loro: le mura del Dharma non crolleranno, ma la muraglia cinese, forse, sì.
Ciao
Rob, le Olimpiadi non sono la fine della storia per la Cina. Pechino ha bisogno di una vetrina come quella ma la priorità non sono i Giochi in sé quanto la continuità del regime.
ReplyDeleteSe la Cina si fosse mai preoccupata dell'"immagine" molte tragedie non sarebbero accadute. Pensare che una nazione fortemente autoritaria, uno stato-partito, assegni alle relazioni pubbliche la stessa importanza che potremmo assegnare noi è, a mio parere, un'ingenuità.
Per i cinesi la più alta forma di realismo politico non è dare di sé un'immagine presentabile ma impedire che le fondamenta del potere assoluto siano messe in discussione. E hanno dimostrato di essere disposti a farlo con qualsiasi mezzo.
Pensaci un attimo: da un'apertura di facciata i cinesi hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere. L'occidente si accontenterà e loro potranno guadagnare tempo. Come è possibile credere ancora alle intenzioni di Hu Jintao?
Saluti.
Enzo