Che il Corriere possa avvalersi di columnists come Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco, non è evidentemente una circostanza di scarso rilievo: significa stare un buon palmo al di sopra degli altri quotidiani. Di questo bisogna dare atto al giornale di Via Solferino—per dirla come si usa nei migliori clubs, non certo nella blogosfera, che è fatta di gente semplice e alla mano. Insomma, Mieli o non Mieli (di cui alla gente semplice, appunto, non frega assolutamente nulla), come il Corriere nessuno. Ieri l’altro Galli della Loggia ha scritto sulla sinistra una cosa da incorniciare, una specie di epitaffio (come suggerisce il titolo: “Una storia finita”). Datemi retta, leggetelo, ammesso che non lo abbiate già fatto. Stesso discorso per l’analisi dedicata ieri alla Lega da Angelo Panebianco, ma qui evidentemente non si tratta di epitaffi. Ne riporto due passaggi, così, tanto per citare qualcosa, ma va letto tutto, compresa la conclusione: la previsione che il federalismo fiscale potrebbe porre qualche problema al governo Berlusconi.
Una annotazione: perché mai l’edizione in inglese del giornale non utilizza questa roba? Poi ci si lamenta che all’estero non capiscono un accidente di quel che succede dalle nostre parti: per forza … Traducete quei due, per favore!
Ed ecco i due passaggi dell'articolo di Panebianco:
Non funziona accostare la Lega, partito territoriale insediato in alcune delle zone più ricche del Paese e che gode del consenso di ceti produttivi, ai movimenti classici di tipo ideologico, vuoi di estrema destra (come il lepenismo in Francia) vuoi di estrema sinistra (come la sinistra massimalista in Italia). Al di là di certe somiglianze superficiali con i movimenti estremisti (e senza negare che le spinte anti-politiche possano oggi avere avuto un qualche ruolo nel successo elettorale della Lega), un partito regionale come la Lega Nord vive e prospera in virtù di un rapporto «contrattuale», di scambio, su temi concretissimi, che toccano direttamente le loro vite e i loro interessi, con i propri rappresentati. A dare forza alla sua azione, a spiegare il suo radicamento e i suoi successi, sono due circostanze. In primo luogo, il fatto che un partito regionale non deve preoccuparsi, a differenza dei grandi partiti nazionali, delle «compatibilità» (se non quando non preoccuparsene danneggerebbe i territori rappresentati) e degli interessi nazionali. Ciò lo rende meno impacciato dei partiti nazionali che devono mediare fra tanti interessi, territorialmente diffusi, e fra loro contrastanti. In secondo luogo, il fatto che il comunitarismo territoriale che lo ispira gli permette di muoversi «come se» le popolazioni rappresentate fossero internamente omogenee. Per l'interclassismo comunitario, «se ci guadagna» il territorio, ci guadagnano tutti i suoi abitanti.
[…]
Per capire meglio le specificità della Lega si pensi alle differenze fra il suo ruolo nel precedente governo Berlusconi e quello svolto dalla sinistra massimalista nel governo Prodi. La sinistra massimalista tenne il governo Prodi in scacco su tutti i temi possibili, dalla politica estera al welfare, fu fonte di continua instabilità. La Lega Nord, nel passato esecutivo di Berlusconi, invece, sostenne sistematicamente le politiche governative nel loro complesso, tenendo ferma la barra sui pochi ma cruciali temi che le interessavano: l'immigrazione, la devolution. Né si può ignorare, a conferma del carattere assai pragmatico dell'azione leghista, che il governo Berlusconi fu debitore nei confronti della Lega di un ministro del Lavoro (Roberto Maroni) cui si dovette, fra l'altro, uno dei provvedimenti più significativi di quel governo: la legge Biagi.
Immagino si tratti di quel Galli della Loggia che prima invitava la sinistra a prendere esempio da Pannella ("maestro di libertà") per completare la pripria infinita transizione, poi la criticava per non difendere il ruolo pubblico della fede cattolica ("ci consegna al relativismo"). Lo stesso che, dopo il discorso del predellino, scrisse che il Pdl sarebbe stato un miserabile partito di plastica. Sul Ph. Dr. Angel Whitebread non infierisco: lo ricordo a 8 1/2 mentre profetava come una Madame Sosostris con il raffreddore l'avvento imminente di un governo di larghe intese presieduto da Montezemolo, perché "è nell'ordine delle cose". Non fosse Panebianco un berlusconiano che fa del nicodemismo, dalla iattanza intellettuale lo giudicheresti un girotondino.
ReplyDeleteTra i commentatori del Corriere citerei anche Pietro Ostellino che è almeno pari agli altri due.
ReplyDeleteMa certo, Ostellino: quello che per un periodo aggiungeva sempre un "forza!" tra parentesi dopo aver scritto il nome di Fassino. Abbiamo visto.
ReplyDeleteFare paragoni per diminuire non è simpatico, soprattutto quando si tratta di giornalisti per i quali si ha un certo rispetto (e Ostellino è uno di questi, dal mio punto di vista), però Panebianco e Galli della Loggia mi sembrano di un altro pianeta.
ReplyDeleteMi scoccia dare ragione a Weltroni, ma tant'è: i giornalisti che si definiscono liberali in Italia sono sempre pronti a ricordare il '56, ma durante i cinque anni di governo Berlusconi sono stati così liberali da occuparsi d'altro che dei provvedimenti voluti dal Presidente del Consiglio.
ReplyDeleteSono completamente d'accordo. Il Corriere, secondo me, può invidiare agli altri giornali (in questo caso a La Stampa) solo Luca Ricolfi. Ma Panebianco e Galli della Loggia, ha ragione Walt, sono di un altro pianeta. Certo, è ovvio che quei due non possano piacere a tutti, anzi, che siano praticamente odiati, ma questa è la solita italietta coi paraocchi, di quelli che sono esperti nell'arte di abbassare gli altri, sperando così di elevare se stessi e quelli della propria parte (per quanto screditata e in miserrime condizioni).
ReplyDeleteCiao
Sangal
Appunto, Sangal.
ReplyDeleteSignori, l'unico editorialista del Corriere che ha insegnato davvero negli USA è Vanni Sartori. Gli altri, tolto il grande Sergio Romano, sono dei civili e rispettabili baroni universitari che hanno passato qualche semestre oltreoceano come visiting professor, o nemmeno quello. Il risultato è che Sartori prende a modello un sistema politico che esiste, mentre gli altri si rifanno a un liberalismo anglosassone che esiste soltanto nella loro mente, a seconda della tesi che sta a loro a cuore. Lo ribadisco: al Corriere hanno chiamato "terzismo" quello che più propriamente è noto come nicodemismo.
ReplyDeleteVanni Sartori chi? Quello che per mesi ha sparato a zero sulla legge elettorale "porcata" pontificando, lui illustre politologo, che avrebbe portato frammentazione e ingovernabilita? Quello che, all'indomani delle elezioni, a "Otto e mezzo" ha detto: "Se il parlamento si è semplificato non è merito della legge elettorale, è merito della soglia di sbarramento"?
ReplyDeleteLasciamo perdere, va'...
Giorgio
PS. ho semplicemente usato il tuo metodo di giudizio degli editorialisti.
ottima analisi
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