Di ben altro tenore, sabato scorso, l’articolo di Mattia Feltri, ancora sul quotidiano torinese. Vittima predestinata il solito Bassolino, e fin qui, naturalmente, tutto regolare. La cosa notevole, piuttosto, era il taglio ironico del pezzo, una performance che penso meriti tutta la nostra riconoscenza e ammirazione:
Antonio Bassolino - come quel bravo allenatore che diceva ho vinto, abbiamo pareggiato, hanno perso - sa dove collocare meriti e demeriti. Ieri ha dunque confermato la propria stessa riconferma: non si dimette. «Se i miei predecessori e i miei successori non sono riusciti a risolvere il problema vuol dire che il nodo è duro», ha detto. Poi ha aggiunto: «I rifiuti dalla strada io li ho sempre tolti». E ancora: «Il commissario di governo ci deve stare più vicino e Palazzo Chigi deve avere il coraggio di stare al nostro fianco».Quando parla di predecessori e successori, Bassolino si riferisce ai commissari straordinari per l’emergenza rifiuti in Campania, ruolo che ha ricoperto per quattro anni, dal 2000 al 2004, il più longevo fra i molti vanamente incaricati di risolvere il problema. Nel 2000, Bassolino aveva da poco concluso l’esperienza di governo (era stato ministro del Lavoro col premier Massimo D’Alema) e si preparava a lasciare la seggiola di sindaco per puntare a quella di governatore della Regione. Da commissario straordinario, dunque, si presume che sia stato molto vicino a sé stesso sindaco e anche a sé stesso governatore. E con le buone entrature che aveva a Palazzo Chigi, che fosse in possesso di buoni argomenti per tenere il governo al suo fianco, che si trattasse di un fianco o dell’altro, quello di amministratore o quello di commissario.
Tornando all’oggi, dopo le esternazioni e i fieri propositi manifestati dal presidente del Consiglio Romano Prodi, la Jervolino s’è risentita e ha chiamato direttamente in causa l’incauto censore. E la cosa potrebbe suonare persino divertente, se le circostanze non fossero quelle che sono:
«Sento di essere rispettosa istituzionalmente, ma al presidente del Consiglio Romano Prodi la possibilità di giungere a una situazione del genere era stata prospettata addirittura l'11 gennaio del 2007 in una riunione fatta a Castel dell'Ovo dopo una lunga e particolareggiata relazione del commissario governativo di allora, Guido Bertolaso. Stranamente questa riunione non ha avuto ricadute. Dopodiché c'è stato un decreto legge del Governo, convertito in legge, che individuava alcuni siti che stranamente non sono stati aperti. Non voglio dire che ho fatto tutto in modo perfetto, ma la responsabilità è legata ai poteri che si hanno. Non posso essere responsabile di cose per la quali non ho mai avuto il potere, né io, né prima di me Riccardo Marone, né Bassolino».
Certo che la situazione, in questo modo, si è fatta ancora più complicata. Uno non fa in tempo ad unirsi al coro dimissioni-dimissioni (assieme a Di Pietro!) del povero Bassolino e dell’infelice Jervolino (con rispetto parlando), che ti tirano in ballo il Prodi, e con argomentazioni solide e accuse circostanziate!
Come regolarsi? Chi mandiamo a casa? Un bel dilemma. Al quale non intravedo altra soluzione che quella di mandarli a casa—con ignominia—tutti e tre, accompagnati da un nutrito gruppo di sodali e collaboratori, cioè praticamente due giunte (almeno), un governo e una coalizione. Con le scuse ufficiali ai cittadini di Napoli, alla famiglia Gava, alla Prima Repubblica, all’opposizione, alla nazione, all’Europa e a questo pazzo, pazzo mondo.