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The Washington Post republishes excerpts from editorials of 40 years ago on Martin Luther King and his legacy (registration required).
Martin Luther King, Jr.
“I Have a Dream”
delivered August 28, 1963, at the Lincoln Memorial, Washington D.C.:
Come quella volta che doveva pranzare con un vescovo italiano. Il prelato giunse in ritardo nell’appartamento papale e si scusò con Giovanni Paolo II raccontando di aver incrociato in San Pietro un suo ex sacerdote, divenuto da 17 anni un barbone e di essersi fermato a parlare con lui. Il Papa gli disse di andarlo a cercare e di portarlo a tavola. Il barbone, imbarazzato e impacciato, pranzò con Wojtyla. A fine pasto, il pontefice gli chiese: «Vuoi confessarmi?». Il barbone disse di sì, con l’incredulità e la gioia dipinte sul volto. Dopo quell’incontro, senza che nulla gli venisse chiesto sul suo passato, il barbone tornò a fare il prete. Questo era Karol, l’uomo «immerso in Dio».
La sua vita fu nobile, e gli elementi
Così composti in lui, che la Natura potrebbe levarsi
E proclamare a tutto il mondo: «Questo era un uomo!»
[His life was gentle, and the elements
So mix'd in him that Nature might stand up
And say to all the world 'This was a man!']